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Ormai è un virus che ha contagiato migliaia di amministratori pubblici e persino la gente comune. E' un'epidemia. Anzi, una pandemia calabra. Altro che HIV ed Ebola! Si chiama "Non possiamo dire no". E il no che non "possiamo dire", una volta era alle strade inutili, ai porti ogni dieci chilometri di costa, agli ostelli della gioventù nei posti più irraggiungibili, ai laghetti collinari, ai rifugi ed ai caselli forestali, ai villaggi turistici, alle piste da sci, alle fabbriche più bislacche, alle opere pubbliche devastanti. Ora è agli impianti di produzione di energia: parchi eolici, centrali termoelettriche, centraline idroelettriche, trivellazioni petrolifere. Sono queste le nuove panacee dei mali calabresi (e del Sud in genere), che – secondo un vecchio stile da imbonitori già sperimentato – ci vengono proposte-imposte dall’esterno e che i nostri amministratori non possono e non vogliono rifiutare. E’ la ripetizione coatta dello stesso errore che commettemmo quando consentimmo che interi territori venissero sventrati per far posto ad aree industriali divenute subito siti di archeologia industriale.
E’ l’istinto compulsivo a credere che ci debba essere qualcuno – diverso da noi – che pensa per noi. E’ come se non ci fossimo mai emancipati da una sorta di infanzia sviluppista. In cui le scelte le fanno i nostri tutori. Da decenni siamo in stato di interdizione permanente. L’Italia - ora anche l’Europa - hanno deciso di farci interdire perché incapaci di badare a noi stessi. Giungono in Calabria società dai nomi strani ed ammiccanti. Fanno leva sulla necessità – pronunciata come un passo evangelico – di emancipare il Paese dalla dipendenza energetica dall’estero. Sono tecnici, loro. Sono scienziati. Loro sanno di cosa abbiamo bisogno noi poveri idioti, ignoranti, inebetiti da decenni di irresponsabilità, di complessi psicoanalitici, di psicofarmaci iniettatici attraverso i media. E la classe dirigente calabrese crede – nel migliore dei casi – che le monetine che ci elargisce l’Europa e che affideremo al gatto e alla volpe perché le piantino, faranno germogliare il nostro futuro.