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"L'uomo di tutto conosce il prezzo, di nulla il valore", scriveva il letterato e poeta tedesco Adolf Ernest Stern. E già Immanuel Kant aveva detto: "Esistono cose che hanno un prezzo ed altre che hanno una dignità". L'abitudine tutta moderna di dare un prezzo alle cose ci porta, inevitabilmente, a disconoscerne il valore, la dignità. Una delle cose che più sconta questo pregiudizio è la bellezza. Mettiamo da parte la polemica su cosa sia divenuta, nella modernità, la bellezza: un concetto ambiguo, spesso frainteso. Rifacciamoci, invece, all'antica idea di bellezza come armonia, che era propria del mondo classico. Elio Matassi traduce la parola armonia in "rapporto conciliato tra unità e molteplicità", tra l'individuo e il cosmo. Bene, potremmo dire che con l'avvento della modernità, con l'apoteosi della tecnica, che ha reso divino l'uomo, quel rapporto conciliato, quell'armonia si sono dispersi. E la bellezza è in grave pericolo. E con la bellezza sono in pericolo il valore e la dignità delle cose. E' un pullulare ovunque, anche qui intorno a noi, di progetti di opere che modificheranno irreversibilmente la bellezza del paesaggio (quel che resta di esso) in nome della tecnica. Un tempo erano strade, porti, dighe, aree industriali, foraggiate dalle provvidenze per il Sud. Ora sono impianti energetici, parchi eolici, centraline idroelettriche, centrali a biomasse o a gas. Proposte da privati che lucrano, ancora una volta, sugli incentivi economici per la produzione di energia. Di mezzo c'è sempre l'economia, da oikos (casa) e nòmos (regola).
Che nel nostro caso, però, non significa - come dovrebbe essere - buona amministrazione della "casa" di tutti, ma arricchimento personale di quei soggetti privati che, da soli, lucrano su questo genere di interventi. Quando un Comune accoglie sul suo territorio un parco eolico, una centralina idroelettrica o una centrale a biomasse o a gas, non ne riceve alcun beneficio reale. Il Comune non avrà che qualche elemosina, i singoli cittadini nessun vantaggio. Per converso, la bellezza del suo paesaggio, la salubrità del suo ambiente, l'identità estetica e culturale dei suoi luoghi ne saranno irrimediabilmente compromessi. Con danni per l'intera comunità. E questo si traduce in un impoverimento collettivo. Già, perché la bellezza dei luoghi è un valore aggiunto a qualunque cosa si faccia su di essi. Un esempio per tutti di come, nonostante la consuetudine della modernità con il brutto e con la disarmonia, ancora oggi il gusto delle persone possa essere essenzialmente influenzato dalla bellezza. Racconta Diego Tomasi, ricercatore presso l'Istituto sperimentale di viticultura di Conegliano, di un esperimento fatto durante il convegno "Che fare per il governo dei paesaggi" organizzato dalla Fondazione Benetton e dall'Associazione Premio Letterario Giuseppe Mazzotti a Montebelluna. A un campione di persone (composto da enologi, produttori di vino e normali astanti) sono stati consegnati due calici dello stesso vino spacciati per vini provenienti da distinti vigneti. Dietro ciascun calice è stata posto la fotografia del falso vigneto di provenienza: l'uno inserito in un contesto paesaggistico di pregio, l'altro in un contesto territoriale anonimo. Gli sperimentatori hanno chiesto alle persone di dare un voto in centesimi ai due vini spacciati per diversi. Risultato. Solo i cinque enologi hanno capito che si trattava dello stesso vino. Tutti gli altri intervistati hanno dato punteggi di gran lunga superiori (tra 55 e 75 centesimi) al vino che si asseriva provenisse dal vigneto bello ed inferiori (tra 20 e 45 centesimi) a quello che si sosteneva provenisse dal vigneto privo di identità estetica. Se ne deduce un dato fondamentale. Ossia che nonostante tutto esiste ancora un'economia della bellezza.