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Il buio sorge sempre al mattino. Come un’alba bugiarda. Almeno per chi è ormai adulto, responsabile della propria vita e, spesso, di quelle di altri. Dopo la pausa dedicata ad un sonno che incespica nella veglia, del riposo che agita, dell’inconscio che si riversa nei sogni, il risveglio ci restituisce alla realtà ed alle sue preoccupazioni. Per questo affermo che il buio coincide con l’alba. Sempre. Sabato. È basso il sole in cielo. Traiettoria dei giorni d’inverno, i giorni del letargo. Freddo, per le nostre latitudini. Umore pessimo. Tentazione di restarmene a casa, accanto al camino. Illusione di poter impunemente sonnecchiare per tutto il giorno. Avrei voluto avere la forza di perdermi su qualche grande montagna, lontano. Ma non mi sentivo a posto. Mi impongo, invece, una passeggiata sulle montagne di casa. Per provarmi. Per capire se, anche questa volta, il dolore fisico fa il prepotente, profittando della mia psiche che rimugina, o magari si tira indietro al cospetto di una cara e semplice bellezza.
Mentre saliamo in macchina per raggiungere il punto di partenza del nostro consueto anello nella Faggeta di Condrò, noto che tutt’attorno alla cima del Reventino la neve ha imbiancato la foresta. Cambiamo immediatamente destinazione e raggiungiamo il belvedere di Fossa della Chiesa, lì dove – dice la leggenda - le fate volarono via, umiliate dall’insolenza degli uomini. Ci accorgiamo che, complice la notte, le fate sono tornate, seppure per poche ore, in forma di leggiadre, adamantine, effimere collane sugli alberi. Penetriamo nell’incanto dell’antica fiaba, in punta di piedi, per far durare più a lungo l’incantesimo. Il monte pochi mesi addietro oltraggiato dagli incendi è tornato a splendere grazie al gelo dell’inverno. E con lui anche la mia voglia di sorridere. Camminiamo sul tappeto di neve, fra gli addobbi di ghiaccio, sull’orlo dei baratri che occhieggiano sul mare, rapiti dallo spettacolo senza tempo. Fortunati noi che possiamo ancora godere della bellezza che si rinnova.