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Torrente Menta, Aspromonte centrale. Freddo appenninico. Sole mediterraneo. Guado in acque gelide. Bosco sontuoso. Di pini, roveri, faggi, pioppi, aceri. Rado, come solo su questi alti crinali scoscesi sa essere il bosco. Ogni grande pino è inciso alla base con le accette dei pastori per cavare schegge resinose di legno, le tede, da usare come esche nei focolari e torce. Le gole del Menta-Amendolea da un lato. Quelle del San Leo dall'altro. Monte Schirifizio, Monte Scacciarro a est, Puntone di Travi ad ovest. Cerchiamo un sentiero che cali sul greto dell'Amendolea, in località Casalino, dove sono i ruderi di un diruto villaggio di pastori. Tentiamo più volte. Ma siamo costretti a risalire. Il sentiero è perso. Annuso l'aria. Il tempo cambia. Gli amici di Reggio scelgono di avventurarsi verso il San Leo. Io decido di tornare indietro. Con i miei complici. Perché in queste cose bisogna avere dei complici al fianco. Che non chiedano mai quando si arriva o si ritorna. Che non protestino se si scende e poi si risale. Che fatichino senza fiatare. Che si fidino. Che mettano sempre in conto una inattesa notte all'addiaccio. Devo essere sereno, non condizionato, non sviato. Per orientarmi. In base ai ricordi, all'istinto, alla ragione. Per assumere decisioni.
In pochi minuti cala una nebbia fitta. Il bosco s'incanta. I pini divengono creature mitiche. Titani incatenati alle rocce d'Aspromonte. Siamo viandanti in un mare di nebbia, come nel dipinto di Caspar David Friedrich. Ma noi non siamo signori ben vestiti che ammiriamo la bellezza dall'alto della nostra volontà di potenza, come in quel quadro. Noi siamo tutti interi nella bellezza. Membra, mente, spirito.Consci della nostra infima condizione di creature. Con diritti identici a quelli delle rocce. D'un tratto avverto un flebile richiamo. Scendiamo verso l'Amendolea. Orlo di una frana immane, rovinosa. Da qui non si passa. Il rombo dell'acqua sul fondo. I fiume è in piena. Lunga ricerca per aggirare l'apocalisse di sfasciumi. Ansia per i complici. Ma dentro di me so che vi è una possibilità. Ho fatto questo tratto in salita, più volte, molti anni fa. Cautamente procediamo verso l'abisso. Solo dove c'è il pericolo, c'è anche possibilità di salvezza, diceva Holderlin. Finalmente il sentiero. Il rombo è un fragore assordante. Sbuchiamo sulla rupe. La nebbia si filaccia. Compare lei. La cascata. Tre salti poderosi racchiusi tra rupi brunite. Masse liquide che erompono furibonde dai loro budelli di roccia. Alla mia donna si sono rotte le acque. E mi voleva lì, con lei. Per il suo parto lustrale.