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“Sono i Napoletani che a partire dalla seconda metà del XVI secolo cominciano ad attribuire ai Calabresi lo stereotipo del pipistrello (e relativa nomea di melanconici, presente come scritta nelle sue ali aperte). Dopo che l’abbinamento calabrese/pipistrello si è affermato, appena in teatro viene presentato un Calabrese, vestito con un lungo tabarro nero, è sufficiente che apra il tabarro e lo tenga, con le braccia ben distese, aperto ai lati, e il pubblico scoppia a ridere”. Mamma mia da quanto tempo e da quale pulpito vengono i pregiudizi sui calabresi!!! Il testo sopra riportato è del prof. Giuseppe Gangemi, un calabrese di Santa Cristina d’Aspromonte, ordinario di scienze politiche all’Università di Padova, fratello dello scrittore Mimmo Gangemi, storico.
“Hanno motivo - si chiede Gangemi - i Calabresi di essere melanconici nel XVI secolo? Certo che si! Dopo l’invasione di Carlo VIII di Francia nel 1494, la Calabria passa in secondo piano nella strategia di difesa del Regno e questo porta a concentrare al Nord di Napoli (a Gaeta e dintorni) le risorse per la difesa. I Calabresi sentono subito che sono destinati ad essere, come già era stato con i Bizantini nell’VIII-IX secolo, abbandonati a se stessi nei confronti delle offensive turche. E così sarà. Diventati meno essenziali per la difesa di Napoli, i santuari e le parrocchie più ricche (le cui proprietà venivano precedentemente affittate ai combattenti contro gli infedeli) vengono affidati a nobili napoletani, romani o spagnoli o comunque sempre alle stesse famiglie che usano le relative proprietà per arricchirsi o ingrossare i propri patrimoni (vedi il ruolo della famiglia Zerbi che gestisce per oltre un secolo la carica nella ricca Parrocchia di S. Cristina d’Aspromonte). Inoltre, anche la decisione di cacciare gli Ebrei e quella di massacrare Valdesi e altri protestanti (oltre a vari cattolici che vengono uccisi, dopo false accuse di eresia, per poterli derubare delle loro proprietà), deprime (come scrive Girolamo Marafioti nel 1601) l’economia della Calabria. L’accusa di melanconia riaffiora carsicamente nella storia della Calabria, ormai da circa cinque secoli. Per esempio, riaffiora nel 1792, nel Giornale di viaggio in Calabria, di Giuseppe Maria Galanti, che segnala luoghi insalubri, pieni di acque stagnanti e fetide, mentre racconta i Calabresi come melanconici, biliosi, etc. Riaffiora ancora in Cesare Lombroso, nel 1862, il quale descrive i Calabresi come melanconici e biliosi, prima di aggiungere che sono anche briganti, criminali nati e cannibali”. Davvero pensiamo possa calare un velo pietoso sui calabresi visti come vil razza dannata!