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L'anello della Valle del Fego: felici come i fiori ed il cuculo innamorato
Scritto da Lametino7 Pubblicato in Francesco Bevilacqua© RIPRODUZIONE RISERVATA
Sole e caldo sono apparsi all’improvviso, poco prima del nostro cammino. Ma nessuno, fra i pellegrini, ha detto: “troppo sole!”, “che caldo!”, “quanto manca alla macchina?”, “quando arriviamo?”. Strano, perché io stesso ho faticato e sofferto tanto. Complice il mio fedele mal di schiena. Un cammino di diciotto chilometri fra i novecento e i milleduecento metri di quota, quasi sempre allo scoperto, con ripetuti sali-scendi. Alla fine, tutti felici. Sudati, ansimanti, sfiniti ma felici. La “felicità” è, fra tutte quelle del vocabolario, la parola più ardua da spiegare. La annettiamo, di solito, ad una condizione mentale di euforia, ad una situazione personale di successo. È la felicità che ci insegnano i media. Quella che si costruisce con scorpacciate di beni, con l’adesione ad un modello ammiccante. Una visione un po’ bolsa della felicità. Ma, soprattutto, un modus vivendi che necessita di uno stato di perenne insoddisfazione, di un’ipertrofia del desiderio, di un bisogno coatto di ottenere sempre di più. Noi oggi, invece, ci sentiamo felici ed appagati! Non abbiamo bisogno d’altro. Paradosso dei paradossi: siamo partiti “da” e ritornati “ad” un cimitero.
Quello di Panettieri, un paesino di appena trecento anime fra le montagne della Sila meridionale. Sul retro del luogo dove riposano gli antenati, un’indicibile veduta sulla Valle del Corace e sui monti del Gruppo del Reventino. Con, in primo piano, un grande declivio erboso in cui pascolano cavalli. Appena ci affacciamo alla recinzione si avvicinano curiosi. Chiedono carezze … proprio a noi che ne siamo affamati! In silenzio, sfiliamo lungo la sterrata che risale il crinale di Monte Ticino, fra castagneti da frutto che digradano, a sinistra verso il Corace e a destra verso il Fego. Eccoci al Piano del Giuoco, l’antico granaio di Panettieri: un ampio terrazzo naturale, glabro, luminoso, puntuto di verbaschi non ancora fioriti, tappezzato di odorosi pulvini di timo. Proprio sull’orlo inferiore del piano, si apre la vecchia aia dove gli asini facevano girare la pietra per spulare il grano. Il luogo è un punto d’osservazione amplissimo. Sulle pietre tante “coppelle”, i graffiti preistorici scolpiti sulla roccia come orme di seni femminili. Per gli archeologi si tratta di segni di frequentazione neolitica con una funzione cultuale legata forse alle costellazioni, di cui le coppelle sarebbero riproduzioni visive, o forse all’acqua che vi si raccoglieva, come elemento fecondante e lustrale. Poi su, verso la cima di Monte Comunelli, fra prati di orchidee, vecce, asfodeli. Qui il panorama è ancor più vasto. Ed il gruppo di rocce conserva una pietra a forma di ruota sberciata con una minuscola coppella incisa lateralmente. Poi giù, nella solenne foresta di pini e abeti, sino a Case Malitano, fattoria abbandonata sul greto del Torrente Fego, con ancora i segni di vite solitarie. Sorprendiamo il pastore a sonnecchiare fra i prati grassi, madidi di rugiada. I cani protestano, spingendo le capre lontano: “chi siete, cosa volete, dove andate? Non avete imparato a dare la precedenza agli animali? Ci vuole la patente anche per camminare in natura!” Guadiamo il fiume e siamo sul versante opposto della valle.
Arranchiamo nel bosco costellato di ginestre luccicanti come oro. Un po’ di riposo fra i pini e via di nuovo, nel caldo afoso della controra, l’ora panica in cui i contadini si rifugiavano nell’ombra per non essere posseduti dagli spiriti vaganti. È come nuotare nel mare delle ginestre, con macchie blu di centauree, viola di aquilegie, azzurre di nontiscordardime. Ancora giù, fra i castagneti da frutto, sino al Fego, più a valle, dove si aprono praterie e coltivi costellati di fattorie sperdute. Storditi dal silenzio, dal fruscio delle fronde, dal cinguettio degli uccelli. Un cuculo lancia il suo estenuante interrogativo amoroso. Nel fienile un nugolo di cuccioli di pochi giorni ci accoglie festante. Su, ancora fra i castagni, nella luce meridiana per ritornare, dopo il lungo anello, al punto di partenza. Gli antenati sono lì ad attenderci, nel loro bel giardino adagiato sull’orlo dell’infinito. O forse sono stati con noi, per tutto il cammino. Per farci comprendere quanto la felicità possa vivere nelle piccole cose, nei gesti semplici, nella fatica, nei fiori e nel verso malinconico di un cuculo innamorato.