Vito Mancuso, il Pollino, i luoghi che ci cercano, il mistero che ci avvolge

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco_bevilacqua_.jpgStavo ancora riflettendo sulla conversazione di venerdì sera, alla Libreria Tavella di Lamezia Terme, tenuta da Vito Mancuso sul suo ultimo libro “Questa vita, conoscerla, nutrirla, proteggerla”. Ero ancora meravigliato dai riferimenti al panpsichismo (tutto ha un’anima) ed all’ilozoismo (la natura è vivente nel suo divenire). Ero ancora inebriato dai collegamenti arditi tra teologia, filosofia e fisica. Ed ecco che mi ritrovo a risalire il Fosso del Vascello. Dove teologia, filosofia e fisica convivono serenamente da millenni. Senza bisogno di dibattiti, di diatribe, di summe e libri. Nelle immense navate della cattedrale arborea della Fagosa. Insieme ai miei amici. Come sette monaci di clausura (la città) nel giorno dello spaziamento (in natura). Il tempo è appeso. Nubi nere in cielo minacciano di scaricarci addosso una tempesta. Folate di vento gelido invadono la valle. Siamo rassegnati ad un precipitoso ritorno sotto la pioggia battente. Ma andiamo avanti lo stesso.

Come sempre si fa nella vita. Nonostante le difficoltà, nonostante la sofferenza, nonostante la paura. Dei mille sentieri che un tempo irradiavano la zona non sono rimastre che labili tracce. Tutte le volte che sono stato qui, ho sempre avuto qualche difficoltà di orientamento. In questo fitto tratto di foresta che, senza particolari punti di riferimento, congiunge la strada principale dell’alta valle del Raganello all’antico sentiero della Fagosa: il percorso più bello, a mio parere per giungere, dal versante calabro, ai Piani di Pollino. Apro il gruppo. Ho io la responsabilità del percorso. E degli altri. Faccio tesoro degli errori commessi le volte scorse. Lascio segni per un ipotetico ritorno rapido nella nebbia e sotto la pioggia. L’unica cosa certa è che per circa un’ora dovremo salire dritti nella faggeta verso sud per intersecare il sentiero. Nemmeno dieci minuti e impattiamo un’alta e larga rupe che mai avevo incontrato. Ci siamo andati a sbattere contro come per caso. Ma non è un caso. Risaliamo nel bosco alla sua base sbalorditi per la sua bellezza di pietra grigia, festonata di alberi e arbusti, di muschi e licheni, con larghi tratti lisci e puliti. Sembra davvero un vascello, una nave incagliata. E nascosta. Che non venga proprio da questa fantastica architettura litica celata nel bosco, lo strano, apparentemente indecifrabile toponimo di “Vascello”? Aggiratala e saliti in cima è come se navigassimo sulla volta della foresta, con in vista le vette di Dolcedorme, Ciavole, Falconara, Timpa di San Lorenzo. Mi dico: questo luogo mi ha finalmente trovato. Era da trentacinque anni che gli passavo vicino e mai l’avevo incontrato. Riprendiamo a salire nel bosco e traversiamo la strada a fondo naturale della Fagosa dove qualche idiota si diverte a fare fuoristrada estremo, rassicurato dall’avere sotto il culo un motore.

Passiamo oltre e proseguiamo a salire dritti. E’ così che incontriamo, dopo nemmeno dieci minuti, un altro amico sconosciuto. Un profondo ed oscuro laghetto perenne, dove guizzano centinaia di tritoni. Anche lui mi cercava. Ci sarà stato un passaparola con la rupe. Anche lui mi ha trovato. Vicino, un altro laghetto, questa volta stagionale. Dappertutto peste di cinghiali. Questo è il loro paradiso: amano rotolarsi nel fango. Eccoci finalmente sul sentiero della Fagosa. Ecco gli iconemi (segni distintivi dei luoghi) che tante volte ho immagazzinato nella memoria. Ecco le copiose Fonti del Vascello. Ecco il catino pietroso di Piano di Fossa. Ecco i faggi monumentali. Ecco il largo Piano di Acquafredda. Cavalli pascolano tranquilli. Nel branco diversi puledrini nati da poco. L’aria è gelida. Indossiamo gli indumenti pesanti. Al Passo delle Ciavole saliamo a sinistra. Voglio far vedere ai miei amici i Piani di Pollino dal punto più bello e meno frequentato. Con la cornice di slanciati pini loricati, sullo sfondo il Pollino e le Ciavole e, alle nostre spalle il Sellaro e la costa ionica. Dolcedorme è imbronciato, coperto di nebbie fluttuanti. Saliamo dal lato opposto, verso le Ciavole. Accoccolati sotto un enorme Pino loricato godiamo questo spettacolo primordiale. Improvvisamente entrano nel nostro campo visivo due enormi grifoni. Vengono dal Raganello. Vanno verso la zona alta dei Piani. Li osserviamo – basiti – mentre veleggiano nel cielo attaccati da due taccole impertinenti che pretendono di scacciarli dal loro territorio.

Vito Mancuso ha ragione: l’anima è in tutte le cose; Dio non vive in un iperuranio trascendente e inconoscibile, ma è tutt’intorno a noi; la vita è energia che scorre, nasce, muore, risorge; viviamo e muoriamo per rigenerarci in un flusso senza tempo; siamo qui per stupirci, piangere, pregare, morire a noi stessi dopo ogni sguardo, dopo ogni incontro. Gli altri, vicino a me, sentono tutto questo. Sono compagni ideali. Non è necessario discettare. Basta uno sguardo, un’espressione di luce negli occhi, un mugolio di meraviglia, uno scuotere la testa, un sorriso. Ed ecco la relazione. Ecco come ci si può sentire parte di un tutto immensamente più grande di noi. Ecco come si può credere al Mistero.    

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