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C'è nebbia quaggiù. Il mondo è vestito di grigio fino all'orizzonte. Le roverelle vicino casa fremono inquiete nel vento. Ma io ho sentore di gialli luminosi, in alto sui monti. Li ho visti da lontano nei giorni passati. Gli inquieti giorni passati! Durante i quali non ho udito la parola "guarigione". Devo reagire. Creare dentro di me le condizioni per guarire. Me lo dico ripetutamente. Allora penso a quel giallo. E lo immagino al di là delle nubi. Indosso gli abiti dei miei cammini. Senza convinzione. Osservandomi commosso. Prendo uno zaino leggero, i bastoncini, la fotocamera. Chissà quante cose dimentico, in questo trepido armeggiare con gli oggetti che mi erano così familiari. Ed ora vivono in una dimensione di abbandono, di dimenticanza, di pudore. In auto verso l'alto. I monti di casa. Monte Tombarino.
La nebbia si dissipa. Come asciugata dal sole caldo del mattino. Grandi castagni dalle cortecce rugose. Odore di foglie e di erba grassa. M'incammino a piedi. Timoroso. ansimante. Come al primo incontro d'amore. Supero il poggio. Entro nel cielo blu. Una luce limpida, e fulgida invade il mondo. Un mondo verde chiazzato di giallo. Quel giallo! Milioni di fiori di ginestra. Esala lieve il profumo dei petali, di quelle piccole vulve conchiuse. E l'aria si inebria. Cammino. Cammino. Cammino. E sudo, e ansimo. E osservo intorno, straripante di emozioni. Potrebbe esplodermi l'anima. Sento le rane gracidare negli stagni. Intermittenti. Ed è un suono ancestrale. Di macchie, ed ombre, ed acque, lontane nel tempo. Genuflesso, sui bottoncini azzurri dei nontiscordardime, delle viole, delle malve. Avverto presenze soprannaturali. O forse tanto naturali. Solo nella natura mi appago. E sono ricco. Anche se non possiedo nulla.