P.C.U.: pastori culturalmente utili

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco_bevilacqua_.jpgAlte gole dell'Allaro. Nardodipace vecchio e Ragonà sono grumi di case artigliate alla roccia, sugli opposti versanti della valle. In mezzo l’Allaro mugghiante. Il terrifico. Il catastrofico. Nel posto più sperduto della Calabria. Nel posto più bello, severo, inquietante, drammatico del Mondo. Non posso non sentire, dentro di me, le parole di Sharo Gambino nel romanzo “Sole nero a Malifà”, che qui è ambientato. Non posso non ricordare la povera gente che intervistò Vito Teti per la RAI. Nardodipace, il paese nato dalla necessità dei contadini poveri e dei pastori delle Serre di trovare nuove terre da coltivare. Il paese delle rasule e delle armacere, un mirabile cesello di terrazzamenti e muretti di pietre sulle irte pendici del monti. Il paese della più arcaica cultura agro-silvo-pastorale del Sud. Il paese delle alluvioni: 1935, 1951, 1972/1973, delle evacuazioni forzate, delle partenze, dei ritorni. Nardodipace, il comune che nel 1989 una ricerca del Banco di Santo Spirito bollò come il paese più povero d'Italia. Siamo qui, in pellegrinaggio, la domenica delle palme. Per cercare un sentiero. E con esso le voci perdute che il vento sussurra tra le fronde. Pochi anziani sul sagrato della chiesa compiono il rito religioso. Gli sguardi seri e commossi di chi sa che sta tenacemente perpetuando la memoria. Partiamo dal piccolo cimitero del paese. Scendiamo lungo un acquaro sul greto del Torrente Aucella per superarlo ed innalzarci man mano nel buio bosco di lecci. Fino a sbucare allo scoperto, sulle franose pendici che precipitano a valle dalla Colla di Guaglio. Il nostro obiettivo è raggiungere la frazione di Santo Todaro, dove, qualche domenica fa, siamo arrivati dal basso, partendo dal Monastero di Sant'Ilarione, a San Nicola di Caulonia. Sotto di noi lo spettacolo maestoso e inquietante delle gole dell'Allaro.

L'acqua ruggisce furente nel suo pazzesco alveo di pietra. Notiamo che il sentiero è ben tenuto. Era la via attraverso la quale i nardopacesi scendevano al monastero per la Festa di Sant'Ilario. Improvvisamente compare un pastore ed operaio forestale. E' lui, con i suoi colleghi, che fa la manutenzione del sentiero. Antonio, si chiama. Sorride. Mi guarda con curiosità. Ha saputo di me, di quel folle che se ne va in giro nel mondo dei morti. Dove restano solo i fantasmi. E le storie che i vecchi raccontano la sera, accanto al focolare. Ma dove vive anche lui. Che ha scelto di restare. Ed è felice. Ed è cortese. "Siate cortesi!", ammoniva Jacques Prevert in una sua poesia. Questa gente, cortese lo è per indole. Non per convenienza. Perché qui non si vende nulla. Non ci sono negozi. Non ci sono bar. Non ci sono alberghi. Non ci sono funivie. Qui, nel profondo sud, il senso della cortesia e dell'ospitalità affonda le sue radici nel mito, come osservò Cesare Pavese. Antonio sa. Perché suo nipote Ilario, da noi incontrato la volta precedente nella diruta casetta di Pampiniti, con le sue capre, gli ha fatto vedere il nostro video su Youtube. Potenza della comunicazione! Antonio sa. Perché suo nipote è alunno di un mio amico che insegna nel liceo di Serra. Antonio sa. Perché suo figlio Ivano mi ha appena chiesto l'amicizia su Facebook. Anche Ivano è lì, sorridente e mite. Con il padre. Con il gregge. A rincorrere sogni nel posto più sperduto del Mondo. Resto basito dinanzi a questa messe di coincidenze. Grazie alle indicazioni di Antonio raggiungiamo Santo Todaro. Torniamo sui nostri passi. Riattraversiamo il regno dei morti. Sulla piazzetta di Ragonà un vecchio, classe 1922, racconta storie. La sera Ivano mi manda foto via Facebook. Esprime un desiderio. Strano per un ragazzo come lui: vorrebbe che vada nella sua scuola, a parlare con i suoi compagni. A parlare dei morti. E di come si fa per farli rinascere. Ora, però, sono anch’io felice. Non solo perché ho peregrinato nella bellezza nuda e pura. Ma anche perché so che quella bellezza, quel Mondo ha già dei custodi. Che l'apocalissi culturale che lo ha travolto non è per sempre. Che grazie ad Antonio, grazie ad Ivano, grazie ad Ilario, grazie agli altri che ancora vivono e tornano a Nardodipace e Ragonà, potrà esservi rigenerazione. Anche qui, dove agli occhi di noi automi urbanizzati, ciechi nella nostra presunzione, sembra impossibile e inutile vivere.

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