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Un’amica giramondo mi ha chiesto: “ma tu non fai mai dei viaggi? Voglio dire: non ti sposti mai, per diletto, fuori dalla Calabria?” Momento di scoramento. Non è facile spiegare la mia stanzialità errante. Ci ho provato tante volte. Ne ho parlato. Ne ho scritto. Perché dovrei spendere una settimana del mio tempo per andare a Barcellona o a Praga, per assistere ad uno spettacolo all’arena di Verona o al San Carlo di Napoli, per fare un safari fotografico nel parco del Serengeti o un trekking in Nepal? E perché dovrei andare così lontano, da calabrese, e vedere nello stesso tempo tanti viaggiatori consapevoli che si partono dai luoghi più disparati del mondo per venire in Calabria? Qualcuno anche per venirci a vivere definitivamente. Come Monica, che mi ha scritto una lettera toccante solo per raccontarmi la sua esperienza di cittadina del Nord Italia che, a un certo punto della sua vita, ha scelto di vivere in una vecchia casa a Santa Caterina sullo Ionio… un piccolo paese che per l’anima di Monica vale, evidentemente, più di qualunque Barcellona, più di qualunque Praga. E allora, a quella domanda ho risposto: “vedi, qui in Calabria non vivo in un luogo qualunque. Qui, io vivo in una narrazione perenne. Leggo e racconto una storia i cui capitoli si susseguono senza soluzione di continuità: prima è un cammino in natura, poi è la visita ad un cumulo di rovine, poi è l’incontro con uomini e donne straordinari, poi è un’avventura, poi è un’esplorazione, poi è il correre al capezzale di un luogo o di una comunità in pericolo… E’ come leggere un romanzo avvincente: non vedi l’ora di trovare il tempo per estraniarti da tutto il resto ed immergerti nella lettura. Per vedere quel che accade. Per immaginare i paesaggi. Per conoscere meglio i protagonisti… Non ci si può staccare facilmente da un grande romanzo! E la Calabria, per me, è il grande romanzo della mia vita. Mi dici che quando ritorni dai tuoi viaggi ti domandi come è possibile che qui in Calabria siamo così incivili, perché cancelliamo la memoria, perché stupriamo il paesaggio, perché non riusciamo a valorizzare i nostri testori… Ecco, vivendo qui, restando qui, io cerco, invece, di capire perché siamo come siamo, perché tutto questo è potuto accadere. E poiché credo che la causa non sia una sorta di tara razziale, una specie di retaggio genetico, ma sia scritta nella nostra storia, al brutto, all’ombra della Calabria guardo con compassione. E poiché credo che un giudizio tranciante non serva a cambiare una storia, io quella storia provo a cambiarla restando qui, smettendo di credere di poter vivere ovunque, non illudendomi di poter essere cittadino del mondo, ammirando Barcellona e Praga, il Prado e il Luovre, il Serengeti e il Nepal … ma amando solo la Calabria. Come fosse la donna della mia vita. Litigandoci anche, ma stando sempre vicino a lei. Vedi cara, io credo che i nostri giovani debbano fare delle esperienze di studio o di lavoro all’estero. Ma credo anche che chi di loro può, deve tornare a vivere, più definitivamente – come direbbe Rilke – nel luogo dove è nato o dove vuol rinascere: che sia la Calabria o qualunque altro paese del mondo. Ecco, c’è un tempo per fuggire e c’è un tempo per restare. Il mio è il tempo del restare.”