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Stradina di campagna, a mezza costa sulle boscose pendici meridionali di Monte Castelluzzo. Compaiono a tratti vecchie case con dinanzi orti terrazzati. In basso, fra le linee scoscese dei contrafforti, verdeggiano l’Istmo di Marcellinara e la Piana di Sant’Eufemia. Con l’ovale del golfo, a occidente, simile alla sponda di un lago. E’ terso il cielo. Una luce ottobrina s’irradia lieta sul mondo. Il mio piccolo grande Mondo. Il sentiero sale nella giungla mediterranea. Ricresciuta su pendici un tempo intensamente sfruttate dall’uomo. Il bosco è una massa vegetale inestricabile, che lentamente riconquista ciò che le fu sottratto. Lo spopolamento e l’abbandono l’hanno permesso. Hanno restituito al bosco il potere che l’uomo gli aveva pervicacemente rubato. Superiamo la linea del castagneto ceduo, residuo degli imponenti castagni da frutto che allignavano qui un tempo. Entriamo fra i pini da rimboschimento. Riconosciamo subito l’artificio forestale. Pochi segni di una nuova presenza dell’uomo: plastica, rifiuti, fuochi. Qui trovai un capriolo ucciso e, ripetutamente, aculei di istrice. Tagliamo diagonalmente. Ed eccoci al monumentale portone d’ingresso alla sontuosa faggeta. Entriamo in un mondo incantato. Completamente diverso da quello che abbiamo visto sino ad ora. C’è un ordine gentile in questi alberi colonnari, un equilibrio arcano. Come se i faggi componessero un ordito perfetto. Come se i fusti e le chiome sostenessero la volta del cielo. Filtra una luce pallida, rossa, omogenea, che si sparge dai tronchi alla lettiera di foglie. Sto leggendo, in questi giorni, “Alberi sapienti, antiche foreste” di Daniele Zovi. Il libro dà conto di tutto ciò che ruota attorno al mondo del bosco. Sia ciò che è razionale e scientifico, sia ciò che è (ancora) irrazionale e non provato scientificamente. Gli alberi hanno una loro intelligenza? Hanno una sensibilità? E’ vero che reagiscono gioiosi dinanzi alla musica di Mozart? E’ vero che provano dolore o piacere? Ricordano, hanno memoria? Progettano, elaborano strategie? La scienza umana ha fatto molti passi in avanti. Ciò che prima era negato oggi è ammesso e provato. Ad esempio, Stefano Mancuso ha accertato che negli apici delle radici vi sono cellule neuronali, come quelle del cervello umano.
Ma non si ammette, ad esempio, che gli alberi provino sentimenti. Ora, io non ho fiducia cieca nella scienza. La scienza è degli uomini, non di tutti gli esseri viventi. E gli uomini non sono neutrali: sono uomini! Guardano agli altri esseri viventi con gli occhi e i pregiudizi degli uomini, ossia con l’idea di essere gli unici creati a immagine e somiglianza di Dio, superiori a qualunque altra specie vivente. Così giudicano il resto del cosmo, dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande, con presunzione. La scienza è spesso (non sempre) presunzione. E’ il mezzo con il quale l’uomo cerca la prova della propria superiorità. Ed ecco che la scienza applica agli altri esseri viventi e alla Terra e al cosmo, le sue proprie categorie di percezione e giudizio. Senza pensare mai che una foglia o una stella potrebbero avere un loro modo di pensare che è incredibilmente diverso dal nostro. E’ un po’ come nell’etnologia. Gli antropologi occidentali hanno studiato per decenni i popoli cosiddetti primitivi o le culture altre con gli occhi, le conoscenze, le categorie mentali delle loro “superiori” culture di provenienza, come denunciò lo stesso Claude Lévi-Strauss. Ed è per questo motivo che l’etnologia ha fallito, deformando l’oggetto dei suoi studi ed infine assistendo, inerme, alla sua disintegrazione nella monocultura della “civiltà” occidentale. Come gli antropologi, i botanici studiano gli alberi e le piante con i pregiudizi umani. Per questo non riusciranno mai a dare una risposta a quelle domande. Noi non conosceremo mai il linguaggio segreto degli alberi. Possiamo solo intuirlo. Con la stessa fede con la quale avvertiamo la presenza del sacro in questa cattedrale d’alberi. E se è vero che gli architetti del medioevo lessero proprio nelle faggete le forme delle chiese che avrebbero costruito, allora io so che queste navate primordiali oggi mi vedono e mi ascoltano. E sorridono e piangono. E la linfa scorre nei loro tronchi come il sangue nelle mie vene.