Partitocrazia finanziamento pubblico vitalizi e governabilità

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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  Ho chiuso il precedente articolo, evidenziando il carattere partitocratico del Partito nazionale fascista. Come affermato da Ernesto Galli della Loggia e da Guido Crainz, il PNF penetrò nello Stato italiano. In Fascismo. Storia e interpretazione, Emilio Gentile, allievo di Renzo De Felice, tra i maggiori storici sul Ventennio, cita il nuovo statuto del 1926: “La funzione del Partito è fondamentalmente indispensabile alla vitalità del regime”. I decreti degli anni ‘32,’33,’38 stabilirono che era necessaria l’iscrizione al Partito nazionale fascista per l’ammissione ai concorsi, agli impieghi presso gli enti locali, per i salariati delle amministrazioni statali. “La tessera del Partito fascista fu dichiarata equipollente [di uguale valore, equivalente] alla carta d’identità”. Oltre 20 milioni di iscritti al PNF e alle organizzazioni collaterali. Sottoposto agli ordini del Duce e al Gran Consiglio, conquistò sempre più potere nelle istituzioni, progressivamente fascistizzate. Cosa succede dopo la Liberazione? I partiti antifascisti continuarono sulla stessa linea di penetrazione nello Stato e nella burocrazia, che si rivelava alquanto permeabile alle ingerenze partitiche: “… quel modello di partito-Stato fu introdotto in Italia dal fascismo e che la Repubblica aveva finito per ereditare, limitandosi a trasformare il singolare [Partito nazionale fascista] in plurale [partiti di massa]” (Giuliano Amato).  Le considerazioni di Palmiro Togliatti nel 1944:” Il fascismo è stato una cosa troppo seria (…) perché si possa pensare di potersene liberare con un volger di mano”. Sui manuali di storia delle scuole di ogni ordine e grado si studia che i partiti antifascisti furono tra i protagonisti vittoriosi nella guerra di Liberazione dal fascismo e dal nazismo. Immediatamente dopo mobilitarono i cittadini per l’esito positivo del referendum monarchia-repubblica. DC, PCI, PSI, (PSIUP fino al 1947), PLI, PRI, Partito d’Azione, Partito democratico del lavoro, movimenti e liste (Fronte dell’uomo qualunque, Unione democratica nazionale, Blocco nazionale della libertà) elaborarono la Costituzione attraverso i loro rappresentanti nell’Assemblea costituente.

 L’art. 49 della Carta così recita: “Tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Di conseguenza furono e sono organizzazioni politiche importanti perché determinarono e “determinano la politica nazionale”, ma l’articolo 49 resta sul generico e non affronta i rapporti tra forze politiche e Stato. Insomma non approfondisce nel dettaglio gli aspetti organizzativi e non pone paletti oltre i quali non bisogna andare. Secondo alcuni studiosi, ai tempi dell’Assemblea costituente, era ancora recente il ricordo della statalizzazione del Partito nazionale fascista che si era sovrapposto allo Stato. Quindi non si regolarono i rapporti con le istituzioni; “non si assegnò ai partiti lo status di organi dello Stato”. In questo, ci fu discontinuità rispetto al Ventennio tenendo i partiti distinti dalle istituzioni. Ma le forze politiche della giovane Repubblica penetrarono lo stesso nelle strutture e nel funzionamento degli apparati statali, delle burocrazie e della pubblica amministrazione. I partiti, nel concorrere e determinare la politica nazionale, dal II dopoguerra a tutt’oggi hanno i loro rappresentanti in Parlamento, governano, detengono il potere legittimo, legiferano anche per le altre sfere dello Stato. Nel contempo si auto-legittimano all’interno, con regole proprie “per poter essere riconosciuti, ammessi alla competizione politica ed elettorale e per accedere alle risorse messe a disposizione”.

La presenza istituzionale dei partiti (ovvero partitocrazia) aumentò gradualmente negli anni ’50 e ’60, favorendo l’utilizzo delle risorse pubbliche e la distribuzione delle stesse. Poi si presentò l’occasione per il PSI e infine anche per il PCI. Soprattutto dal 1970 in avanti l’istituzione delle Regioni favorì il controllo degli apparati statali e di settori amministrativi. Alcune risorse (tante) furono utilizzate per fini elettoralistici, ma non bastarono al fabbisogno dei partiti diventati ipertrofici. La ricerca di Enrico Calossi ed Eugenio Pizzimenti, su cui ho scritto negli articoli precedenti, ha registrato dal 1945 al 1990 milioni di iscritti nei tre maggiori partiti della cosiddetta “prima Repubblica”, DC, PCI, PSI. Per il mantenimento delle dimensioni organizzative raggiunte occorrevano soldi, molti soldi. Venne quindi il momento, con la prima legge del 1974, del finanziamento pubblico ai partiti. Poi altre leggi nell’ 1980 e ’81.

Nei primi anni ’90, con tangentopoli e manipulite”, DC e PSI, due partiti importanti della nascita della Repubblica, colpiti dagli scandali relativi a finanziamenti illeciti, scomparvero; altri cercarono di cambiare simboli e sigle posizionandosi in maniera diversa su un’ opinione pubblica cambiata in ampi settori della società che rivelavano sfiducia verso certa politica; contemporaneamente si affacciarono nuovi soggetti politici che fecero subito presa sul malcontento di una parte dell’elettorato. Iniziò la cosiddetta “seconda Repubblica” a parere di numerosi politologi e opinionisti. Iniziò il populismo e la propaganda politica si attrezzò con nuovi strumenti, soprattutto tv e sondaggi. I partiti diventarono “leggeri”, vendendo i propri patrimoni e privandosi di molti funzionari, sostituendoli in campagna elettorale attraverso l’esternalizzazione: le politiche e i programmi venivano e vengono demandati a soggetti esterni. Si accrebbe la necessità del finanziamento pubblico. Non mancarono le reazioni mosse da sfiducia verso certa politica. Referendum nel 93: oltre il 90% a favore dell’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti sotto l’effetto di tangentopoli e manipulite; sostituito formalmente (o nominalmente) in Parlamento dai rimborsi elettorali (Leggi del ‘97 e ‘99), aumentati col passare degli anni a dismisura. La legge 2/1997 introdusse l’obbligo di rendicontazione. Dalla crisi degli anni ’90, i partiti non si sono ancora risollevati. Referendum del 2000 promosso dai Radicali per l’abolizione non raggiunse il quorum. Ancora modifiche nel 2006: bastava l’1% dei voti per ottenere il rimborso elettorale anche senza la durata effettiva della legislatura. Si cominciano a chiudere i rubinetti nel 2012 (governo Monti) per arrivare all’abolizione concreta nel 2013 (governo Letta), ma l’effettiva cessazione è avvenuta l’anno scorso. Sono rimaste “la destinazione volontaria del 2 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (che Di Maio vuole abolire) e le erogazioni volontarie dei privati che possono usufruire delle detrazioni fiscali”. Non è finita: i vitalizi, aboliti nel 2011 dal governo Monti e ribattezzati “pensioni dei deputati e dei senatori” saranno ridimensionati secondo il calcolo contributivo. Ma nell’ultima seduta parlamentare prima del voto del 4 marzo 2018, il Senato ha votato per il rinvio. Ultimissime: Roberto Fico, nuovo presidente della Camera dei deputati, ha avviato un’istruttoria, affidando il mandato ai questori di Montecitorio, per una proposta di riforma dei vitalizi, mentre nel Consiglio regionale calabrese è stata già presentata qualcosa di simile dal capogruppo dei “Democratici progressisti”, Giuseppe Giudiceandrea, come riportato da il Lametino on line.

Quanto appena scritto rivela che la politica non ha fatto bella figura di sé, anche se non sono mancati nell’ultima e nelle trascorse legislature deputati e senatori sensibili al bene comune, nonché competenti nell’affrontare e cercare di risolvere le problematiche. Dalla crisi degli anni ’90 i partiti dell’establishment (del sistema) non si sono più ripresi; le alte percentuali di astensionismo nelle diverse tornate elettorali ne sono una conferma. Intanto sono cresciuti sfiducia e malcontento continuati nel Terzo Millennio, facendo la fortuna elettorale di formazioni politiche nuove, di leader e premier diversi da quelli del passato. In questo la Lega di Salvini e il Movimento 5 Stelle sono stati i più lesti nel creare il consenso. Ora, finita la campagna elettorale, ma non avendo nessuno dei competitor ottenuto la maggioranza, in Parlamento si dovrebbe trovare l’accordo per governare. Una prova alquanto difficile. Il presidente Mattarella ha tanto da fare nei prossimi giorni. I migliori auguri per tutti!

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