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Nel breve excursus sulla storia dei partiti dal secondo dopoguerra ad oggi eravamo arrivati, nel blog precedente, alla politica spettacolo. Ad un certo momento, qualche anno fa, sono comparsi Grillo e i 5 Stelle. Hanno messo a soqquadro il sistema partitico italiano, specialmente all’appuntamento elettorale appena trascorso. Oggi infuriano le polemiche dopo l’inchiesta televisiva di Milena Gabanelli nell’ultima puntata di Report; non minore il frastuono mediatico provocato dalla proposta di legge di Anna Finocchiaro del Pd, battezzata dai giornali come “legge anti-movimenti”, in realtà avrebbe lo scopo di realizzare ciò che sta scritto nell’art. 49 della Costituzione concernente i partiti. Certo è che le turbolenze non mancano. Cerchiamo di starne fuori rifugiandoci presso gli studiosi. Ritorniamo a Marco Revelli, docente di Scienza della politica, già citato in passato. Nel suo libro “Finale di partito” dedica pagine interessanti ai 5 Stelle (114-122), prendendo spunto dalla pubblicazione di Casaleggio e Grillo: “Siamo in guerra. La rete contro i partiti” (Ed. Chiarelettere. Milano 2011). In buona sostanza, secondo gli autori, il web darà il colpo di grazia alla partitocrazia. S’instaurerà una democrazia diretta attraverso la comunicazione digitale. Scompariranno i partiti come corpi intermedi. Grazie ad internet ci sarà l’accesso [immediato] di ogni cittadino al processo decisionale e legislativo. I referendum via rete senza quorum e propositivi diventeranno la normalità (…) Le Costituzioni dei vari Paesi potranno essere discusse online. Allo stesso modo i programmi politici.
Quindi giornali, televisioni e libri scompariranno. Anche i partiti che saranno sostituiti dai movimenti. Lasciamo da parte i dubbi giornalistici e altri dossier per non cadere nella polemica mediatica. Restiamo ai due libri summenzionati. In quello di Casaleggio e Grillo si sostiene che la politica può fare a meno di qualsiasi tipo di finanziamento pubblico o legato agli affari. Ma i cittadini stessi si pagheranno la propria politica [attraverso] le micro donazioni inviandole con un semplice click al candidato scelto. Il modello è Obama, il presidente degli USA, che nel 2008 vinse le elezioni grazie alla Rete. Milioni di Americani hanno finanziato la campagna elettorale per 6,5 milioni di volte con una donazione media di 200 dollari. In tal modo è diventato il primo presidente degli Stati Uniti a non dover ringraziare le lobby. Questo è quanto affermato dai democratici del web. Per Marco Revelli le cose sono andate un po’ diversamente, fermo restando che i meccanismi di finanziamento della campagna elettorale di Obama risultano innovativi. Innanzitutto le piccole donazioni sono state ripetute (da small donors sono diventate large). Infatti circa 100 milioni di dollari sono arrivati da donatori multipli che con piccoli versamenti hanno cumulato somme oscillanti tra i 201 e i 999 dollari. E ancora: 200 milioni di contributi superiori a 1000 dollari. Inoltre la militanza tradizionale si è mischiata a quella innovativa. Non sono mancati i comitati territoriali e quant’altro che hanno moltiplicato le comunicazioni in ambiti non virtuali (quartieri, uffici…). Infine Rovelli afferma che il flusso più consistente (il 60%) era costituito da grandi donazioni spesso raccolte in gruppi d’interesse o in reti di supporto strutturate a monte della campagna elettorale. Anche negli Stati Uniti non…è tutto oro quel che luce, però bisogna verificarne la provenienza. Alla prossima.