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C’è un amplesso nell’aria. La prima luce del giorno penetra la nebbia che staccia il suo alito color madreperla sulla conca di Decollatura. Dietro un ciliegio arrossato dall’autunno. Ancora avvolto nell’ombra della notte. Dietro una vecchia casa disabitata che s’affaccia sull'orlo della valle. Attende l’alba la casa. E qualcuno che apra porte e finestre serrate. Pian piano, quella carezza di luce sale fra i castagni ed i cerri, sfiora le foglie arancioni, soffia il nuovo giorno sulle montagne selvose. E’ un’aurora di passione per la Sila Piccola. E la valle del Lago Ampollino è una creatura addormentata nell’incanto della notte. A Verberano l’aria è diaccia. Con gli amici di Discovering Reventino, attraversiamo il villaggio aduggiato dai pini larici e dai pioppi tremuli, i "cannili" dalla candida corteccia, che agitano le gialle foglie come vivide fiammelle nel cielo plumbeo. Il bosco è un tempio. E i pioppi sono le candele accese nella penombra. E l'odore di terra bagnata e resina è l'incenso che emana dalla nebbia.
Compiamo un rito, un pellegrinaggio. Fratelli minori degli alberi e delle pietre, degli animali e del cielo. Inquieti viandanti. Il vento recita una preghiera. Come il salmodiare dei monaci nel chiostro. Abbandoniamo la via fisica. Percorriamo un sentiero interiore. Lontano, sempre più lontano dall’invadenza dell’uomo. Siamo ora su una traccia perduta. Con un ruscello mormorante sul fianco. Tra i faggi e i pini. Tra arbusti contorti e spinosi. Tra strati di foglie fruscianti e viscidi legni abbattuti dalle tempeste. Tra muschi, funghi, licheni. Due caprioli fuggono sopra di noi. Comincia la discesa nell'Ade. Il mondo dei trapassati. Il mondo di chi visse qui secoli fa. Gli spettri aleggiano nella foresta brumosa. Piccole radure madide di rugiada e buoi al pascolo. Il vecchio acquaro è segno che più in basso ci fu vita. Poi, improvvisamente, lo squarcio grandioso del Tacina, da quello che chiamai Il Poggio degli Elfi. Tutto è silenzio e nebbia. Pini e abeti sono coni nerastri sul mareggiare dei faggi già spogli. Spiccano solo le fiammelle dei pioppi. Oggi è davvero il giorno dei pioppi tremuli! La madre di tutte le fiumare serpeggia al centro delle grandi praterie pullulanti di armenti. Un paesaggio così va osservato non con gli occhi dell’artista ma con quelli di un servitore leale e accudente. Non è oggetto di contemplazione estetica ma di afflato etico. Esso vivrà, e noi stessi sopravviveremo, fin quando e per quanto sapremo proteggerlo dalla protervia dei nostri simili. “Piove da tutto il cielo vago – come scrisse Neruda -, la nube densa sgranò le sue uve”. Risaliamo la valle con gratitudine e fede. I ruderi delle antiche vaccherie interrogano le nostre anime ignare. Svalichiamo per scendere nel Ciricilla, la valle contigua, gemella. E poi lungamente, ridiscendendo il corso del torrente. Con il cielo che ritrae le sue uve e le nubi che si squarciano al miracolo dei raggi di polvere d'oro del sole. Sino alla fine della luce. Sino alla fine del giorno.
A Verberano ci attende la coppia di custodi tedeschi. Il loro cane ci ha seguiti per tutto il cammino. Non sono i composti servitori protagonisti di “Quel che resta del giorno”, il romanzo di Kazuo Ishiguro, Mr Stevens e Miss Kenton, che, sino alla fine, sono incapaci di vivere il loro amore, non sanno abbandonare una stolida razionalità e ribellarsi al destino. Sono, invece, due persone semplici e gioviali, che hanno scelto deliberatamente di venire quaggiù, in questa strana Foresta Nera scagliata nel cuore del Mediterraneo. A vivere come eremiti. Sorridono felici. Per loro, quel che resta del giorno, è quaggiù. Perché per certuni che vivono nelle brume del Nord, il Mediterraneo è un destino, come scrisse Predrag Matvejevic nel suo famoso breviario.