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Aspromonte: I parchi nazionali nello sviluppo locale di Tonino Perna
Scritto da Redazione Pubblicato in Francesco Bevilacqua© RIPRODUZIONE RISERVATA
di Francesco Bevilacqua
Quello di cui sto per parlare è un interessante saggio dal contenuto ibrido. Il suo titolo fa riferimento ad un luogo importante della Calabria, sia storica che contemporanea, l’Aspromonte, ed in effetti ci parla di questo grande segmento, anzi dell’ultimo, più meridionale segmento dell’Appennino Calabro-Lucano, e, in particolare, del suo parco nazionale. Ma al suo interno troviamo anche diversi spunti di riflessione sulla storia delle cosiddette aree protette nel mondo e su quella che potrebbe essere la loro funzione in una regione considerata “sottosviluppata” come la Calabria. Il tutto, con raffronti con altre zone del Mediterraneo e del mondo, sulle quali, l’autore, Tonino Perna, ha accumulato una ormai pluriennale esperienza non solo come docente di sociologia economica presso l’Università degli Studi di Messina, ma anche come fondatore ed animatore del CRIC (Centro regionale d’intervento per la cooperazione), una ONG (organizzazione non governativa) che ha operato ed opera fuori Italia. Si aggiunga che Perna, all’epoca in cui ha scritto il libro, era presidente dell’ente Parco Nazionale dell’Aspromonte e che, proprio grazie a lui, il parco ha assunto una notevole rilevanza nel dibattito sulle protette del Mediterraneo. L’importanza del libro, da punto di vista della nostra rubrica, sta nel fatto che traccia le possibili linee guida di quello che l’autore definisce “sviluppo locale autosostenibile” e ritiene evidentemente più gravido di implicazioni significanti e positive dell’abusato “sviluppo sostenibile”, nel nome del quale, nel mondo intero, si è detto e fatto tutto ed il contrario di tutto.
Sia beninteso: non si tratta di una guida al parco (ne abbiamo già recensito una in questa rubrica), ma piuttosto di una via di mezzo tra la ricerca sociologica e la riflessione politica (nel significato migliore del termine) sul ruolo che l’intera area montana della provincia di Reggio Calabria ed il suo parco nazionale potrebbero avere sia con riferimento alle sue risorse naturali ed alla sua popolazione, sia con riguardo alle relazioni con il resto dei paesi che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo. Perna si riallaccia ad una fondamentale intuizione dello storico Fernand Braudel, secondo il quale il Mediterraneo è un mare paradossalmente fatto di grandi montagne e le montagne sono riserve di arcaismo sociale (a volte anche feroce) per la semplice ragione che la montagna è di per sé un ostacolo alla penetrazione, al transito. Ma – sempre secondo Braudel – la montagna è, in pari tempo, anche un rifugio ed un paese di uomini liberi. Sicché – conclude Braudel – il Mediterraneo sarà qual che saranno le sue montagne, nel senso che se queste si spopoleranno definitivamente, diventerà insopportabile il carico demografico ed ambientale dei litorali e delle città di pianura: frane, alluvioni, perdita di memoria e di cultura, sperpero di risorse naturali.
Da qui, Perna comincia il suo lungo, affascinante e, per molti aspetti sorprendente, racconto-riflessione. L’Aspromonte è, secondo l’autore, una sorta di archetipo della montagna mediterranea, utilizzato, nei secoli, come serbatoio apparentemente inesauribile di risorse naturali per le città della costa, a partire da Reggio Calabria. Ogni considerazione sull’Aspromonte è, prima di tutto, una considerazione sul rapporto tra uomo e natura, ambivalente sin dal testo biblico della Genesi, che, da un canto, afferma il “dominio” dell’uomo sul creato, e dall’altro, incarica proprio l’uomo di “coltivarlo” e “custodirlo”. E’ lo stesso dilemma che troviamo dipanarsi durante tutta la storia dell’umanità: da un lato il mito di una natura incontaminata e primigenia, di un eden perduto, dall’altro la pretesa antropocentrica di piegare la natura con tutti i mezzi messi a disposizione dalla scienza e dalla tecnica. Da qui, la nascita, in epoca moderna, dell’idea di salvaguardare porzioni di territorio dall’invadenza trasformatrice dell’uomo. E qui Perna fa una breve ma utile storia del sentimento della natura in epoca moderna. A partire da quello puramente estetico che porta alla creazione, in Francia, del primo caso di area protetta volta a proteggere la bella Foresta di Fontainebleau da un possibile diboscamento, per il godimento di pittori paesaggisti ed ammiratori. Per passare poi al sentimento della natura selvaggia (wilderness) che portò negli U.S.A. alla creazione dei primi grandi parchi nazionali di Yosemite e di Yellowstone, come immensi musei naturali (negli U.S.A. i monumenti naturali sostituiscono, nell’immaginario collettivo, quelli che sono i beni culturali nella vecchia Europa) ma destinati al godimento più ludico che estetico della popolazione immigrata (gli Americani, appunto) a scapito dell’uso comunitario e ambientalmente sostenibile che ne facevano invece gli indigeni (gli Amerindi). Sino ai parchi nazionali africani, creati anch’essi per il divertimento dei colonizzatori bianchi. In questo senso, Perna sostiene che la concezione americana e africana dei parchi è “razzista”, perché esclude le popolazioni locali dalla gestione di risorse che anticamente appartenevano proprio alle popolazioni locali. Si può essere in disaccordo con Perna su questo punto, ma è un fatto che quei sistemi di protezione della natura sono stati sostanzialmente imposti dall’alto, con interventi degli stati e dei governi senza alcun rapporto con le popolazioni locali. In questo senso, Perna rivendica alla legge istitutiva dei parchi italiani (la 394 del 1991) l’importante funzione, invece, di tentare una mediazione tra gli interessi nazionali di conservazione della natura (e quindi di risorse che appartengono a tutta la collettività nazionale) e quelli locali di “affidamento” della cura dei territori protetti alle popolazioni residenti che su di essi devono pur vantare, per ragioni storiche e sociali, un qualche diritto quantomeno di pari grado a quello nazionale.
Dirò qui, brevemente, quali sono le mie perplessità su questo ragionamento iniziale di Perna riguardante i parchi nazionali. Innanzitutto, i parchi nazionali degli U.S.A., se anche sono stati creati in territori sottratti ai nativi (ma la stessa cosa vale per tutto il territorio degli U.S.A. e delle intere due americhe), hanno rappresentato, per il mondo intero, fulgidi esempi di conservazione di straordinarie risorse naturali che, diversamente, avrebbero potuto essere distrutte (basti pensare alle imponenti sequoie sottratte al taglio) per puro profitto. Inoltre, quei parchi hanno dimostrato – seppure attraverso un turismo a volte non troppo consapevole – come alla conservazione può anche collegarsi un modello di sviluppo alternativo a quello della trasformazione cruenta del territorio. In secondo luogo, ammesso che i territori sono innanzitutto delle genti che li abitano, occorre anche chiarire che, quantomeno in Italia, se non ci fosse stata l’imposizione dello Stato (attraverso leggi istitutive votate direttamente dal Parlamento), molto probabilmente non si sarebbe fatto un solo parco nazionale, visto che le popolazioni locali, sia pure in modo velleitario e per effetto soprattutto delle menzogne fatte circolare ad arte dalla lobby dei cacciatori, hanno a lungo osteggiato le proposte di aree protette per effetto degli indesiderati ma inevitabili vincoli alle attività umane. In terzo luogo, tempo che se Tonino Perna dovesse riscrivere oggi quella parte del suo libro, non dimostrerebbe più tanto entusiasmo circa la “via italiana ai parchi”, viste le molte pecche, le inefficienze, gli immobilismi che questi enti-carrozzone, ambiguamente legati allo stato ed agli enti locali (e quindi, soprattutto, alla politica), hanno dimostrato, a prescindere dall’intelligenzi di chi li ha rappresentati e li rappresenta.
Certo è – e qui veniamo allo specifico della vicenda del Parco Nazionale dell’Aspromonte – che questo ente, sotto la guida illuminata e creativa di Perna ha vissuto una intensissima stagione di realizzazioni e cambiamenti. Perna racconta, a tal proposito, come egli, ben conscio dell’importanza di coinvolgere i residenti nella responsabilità della gestione del parco, al di là della rappresentanza che gli enti locali hanno negli organismi amministrativi dell’ente, sia riuscito a far comprendere, con azioni concrete, come il territorio può essere tutelato solo da chi vi risiede, attraverso scelte democraticamente condivise dal basso. Qualche esempio. Anche l’Aspromonte, come gran parte dell’Italia, era tristemente noto per il gravissimo fenomeno degli incendi estivi. Perna è riuscito, per la prima volta, a far rispettare i boschi del parco attraverso una trovata semplice quanto efficace, dividendo, cioè, il territorio in tante sottoaree assegnate ciascuna ad una associazione o ad una cooperativa, e stipulando con queste ultime contratti di responsabilità, in base ai quali il compenso aumenta in modo inversamente proporzionale all’ampiezza della superficie percorsa dal fuoco: più integro mi restituisci il territorio a fine stagione più remunerazione prendi dal Parco e viceversa. Esattamente il contrario di quanto accade con i contratti che la Regione Calabria stipula per i mezzi aerei antincendio di società private che vengono pagati in base alle ore di volo effettuate per spegnere il fuoco e che, come dicono gli esperti, sono chiamati a tentare di domare incendi ormai indomabili (perché il segreto sta nel controllo capillare del territorio e nel pronto intervento con le squadre a terra quando l’incendio è ancora di piccole proporzioni). Noi tutti conosciamo la storia dell’energia eolica in Calabria: grandi società multinazionali sono calate in un territorio affamato e deprivato di ogni dignità da decenni di inutile assistenzialismo, offrendo ai comuni, spesso con lo zampino della mafia, miseri compensi in cambio di permessi ad installare grandi parchi eolici in molti casi in spregio di paesaggi di pregio. Ebbene, sotto la direzione di Perna, il parco, sottoposto ad un fuoco di fila di richieste di questo genere, ha pensato bene di creare esso stesso, insieme ad altri sette comuni, una società, la Eolo 21, poi aperta anche ai privati con una regolare gara, che ha consentito di saltare a piè pari la “mediazione” dei profittatori di turno e di responsabilizzare gli enti locali. E poi c’è il primo master nazionale di giornalismo ambientale, che ha formato decine di giovani professionisti venuti sin nel cuore del profondo sud per imparare da docenti d’eccezione e per scoprire un’altra faccia del tanto bistrattato Aspromonte. E poi ancora il laboratorio di scrittura creativa al Santuario di Polsi, un luogo di culto sprofondato nel centro dell’Aspromonte. E il master di progettazione per lo sviluppo locale etc.
È utile precisare che queste ed altre iniziative non sono state prese solo grazie alla creatività di Perna. Alla base di tutto c’è stata una fondamentale ricerca sociologica, voluta dallo stesso Perna, che ha dato importanti informazioni sulla realtà socio-economica e sulle esigenze degli abitanti dell’area. Anche in questo caso riportiamo alcuni esempi. L’Aspromonte è noto al grande pubblico europeo soprattutto per le tristi piaghe dei sequestri di persona degli anni 70 e 80 del secolo scorso, per i latitanti di ‘ndrangheta, per la stessa criminalità organizzata. E tuttavia, sotto questo punto di vista, il risultato della ricerca è che la gente dei paesi alti del massiccio (quelli maggiormente interessati dal Parco) si sente per grandissima parte sicura né si registrano furti, rapine, racket che viceversa sono molto diffusi nelle cittadine della costa. Altro dato interessante è la riduzione della popolazione degli stessi centri a partire dagli anni 50 con una perdita di abitanti che va dal 40% sino all’80%. Quanto ai bisogni della gente dell’Aspromonte al primo posto delle istanze raccolte sul campione significativo di intervistati durante la ricerca c’è quello di più attività culturali, ricreative e sportive, che, secondo Perna, deriva dal senso di isolamento e di abbandono rispetto ai centri più modernizzati ed infrastrutturati della costa. Al secondo posto c’è il bisogno di più servizi pubblici uffici, che deriverebbe dalle carenze delle reti idriche e fognarie, della raccolta di rifiuti, dalla sparizione di farmacie e servizi postali nei paesi che si spopolano etc. Al terzo posto vi è il bisogno di un migliore assetto urbano ed uso del territorio, con riferimento alla carenza di strumenti urbanistici adeguati, alla presenza di molte case abbandonate, alla mancanza di aree verdi, alla inefficienza dei sistemi di trasporto pubblici, alla condizione disastrosa delle strade etc. Solo all’ultimo posto viene la domanda di più occupazione e sviluppo produttivo, per la quale si può solo ipotizzare – scrive Perna – che vi sia una sorta di rassegnazione della gente rispetto alle ripetute e disattese promesse di sviluppo che la classe dirigente ha formulato ripetitivamente negli ultimi decenni.
Tonino Perna
Aspromonte, i parchi nazionali nello sviluppo locale
Bollati Boringhieri
Torino 2002
€ 16,00