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La sanità calabrese deve essere risanata, e rilanciata nel suo insieme, oppure si rischia la catastrofe. A metà estate 2013 ormai è chiaro a tutti che, al di là delle gravissime vicende di cronaca, il punto è questo e necessita di coraggio, di grande coraggio, per invertire una tendenza che punta dritta dritta verso il baratro. I grandi ospedali regionali (Catanzaro, Cosenza e Reggio) sono ormai al collasso, il personale ridotto all’osso, affidati ancora al senso di responsabilità dei vari primari, che si stanno sottoponendo, insieme a tutti i loro collaboratori, a turni e ritmi massacranti pur di assicurare un minimo di risposta all’utenza.
In questi anni si è sistematicamente operato nel dividere e contrapporre territori, operatori, professioni e persino presidi ospedalieri, senza la capacità di costruire un sistema organico inclusivo e complementare, unitario e inclusivo in cui ogni territorio abbia una missione e si senta protagonista. C'è necessità di dotare gli hub calabresi di tutte le specialità previste per un livello ospedaliero eccellente. Troppi ritardi si sono accumulati sulle politiche sanitarie territoriali, che in una fase di riorganizzazione e di modifica della domanda di salute sono sempre più un punto strategico.
Da anni, troppi, non si è avuto il coraggio di razionalizzare sul serio la rete ospedaliera regionale, con il risultato che manca il personale laddove ci sarebbe bisogno. La sanità è una grande malata, un’emergenza diventata elemento fondante della società calabrese. Ci sono anche medici e operatori di livello, ma la buona medicina non è mai conseguenza di un’attività consapevole, politica e manageriale, programmata e mirata, che s’ispira alle punte alte della tecnica e della scienza mediche. La buona medicina, quando c’è, è frutto di sforzi personali, di medici e operatori appassionati. Ci vorrebbe appunto il coraggio di cui s’e’ detto: molti dei potenti che si sbracciano per tenere aperti il loro ospedale del loro territorio lì non si farebbero ricoverare neanche per un’unghia al piede ma il pennacchio dell’ospedale di casa o di quartiere lo vogliono. Così non si va da nessuna parte.