© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Quello che la Calabria e gran parte del Sud mostra di non capire fino in fondo in questo delicato passaggio di fase, politico e sociale, è che non basta più lo scontro e il rifiuto netto delle politiche all’orizzonte su quella che è stata definita la secessione dei ricchi. Occorre mettere in atto politiche nuove ma soprattutto un nuovo protagonismo di tutte le articolazioni della società. Invece di restare più o meno in silenzio quello che viene sempre più richiesto è che organizzazioni, ceti, gruppi, associazioni rompano il muro del silenzio e scendano finalmente in campo. Dopo la Calabria dolente la Calabria silente: poi resta poco. Negli anni scorsi abbiamo, infatti, provato a disegnare il quadro di una realtà che immobile non era (e non è) ma che aveva bisogno di un nuovo racconto, di una diversa narrazione, cioè di una narrazione di verità, più aderente alla realtà e ai fatti che si stanno squadernando sul tavolo. Una Calabria diversa che si affianca a quella vecchia, tradizionale, stanca e ripetitiva, boriosa o lamentosa (che è poi la stessa cosa…) con la quale siamo tutti a costretti a fare i conti da tempo immemorabile. Una Calabria che continua però a soffrire per mali vecchi e nuovi, per l’acuirsi di contraddizioni che ne frenano lo slancio e lo sviluppo possibile, ne appannano l’immagine che continua ad essere nel suo complesso poco positiva. Anzi, negativa era e negativa resta la percezione che si ha al di fuori dei confini angusti della regione. Perché avviene tutto questo nonostante quei timidi segnali di positività si stanno anzi fortificando? Perché il silenzio è la regola d’oro che continua a segnare e a caratterizzare la calabresità vera. Ecco perché la Calabria silente. Ecco perché dopo il dolore ed i cambiamenti possibili oggi prevale il silente. Ecco perché occorre un salto di qualità nell’analisi di quel che (non) accade.
Il quadro dirigente politico della regione è più o meno lo stesso di 30 anni fa. Se non di 40. ma è così in tutt’Italia, se si eccettua la pseudo novità dei grillini, che dopo i primi exploit pagano anche qui scotti vari di noviziato, inesperienza, mancato radicamento, confusione di posizionamento e quant’altro. Questo è un primo dato da cui partire, alla vigilia di nuove elezioni regionali che segneranno il primo cinquantennio di vita dell’Istituzione. Questo mancato ricambio, quel mancato salto generazionale, quell’assenza di facce e volti nuovi, quel respingimento pervicace e testardo di novità è un dato serio su cui nessuno riflette abbastanza e che spiega in parte quel silenzio. Ovviamente non è questo solo questo il dato negativo riferito al ceto politico. Chi ha interesse, al di fuori di questo sistema politico paralizzato e intriso di scambi affaristici e mafiosi, a parlare e a smuovere le acque di un quadro in cui domina solo l’autoriproduzione? Nessuno, e infatti da 50 anni si assiste a quell’incredibile rimescolamento di carte in prossimità di elezioni importanti (avverrà, anzi sta già avvenendo, anche per le Regionali prossime venture) che denotano il continuo interscambio di posizioni. Trasformismo alla luce del sole. Una vergogna. Cambia tutto perché davvero nulla cambi!
Ma non c’è solo questo silenzio, ovviamente. C’è anche il silenzio dei chierici e il silenzio di chi potrebbe orientare, smuovere, agitare e non lo fa. Gli intellettuali, i famosi e famigerati intellettuali! Non che non parlino questi ceti. Parlano anzi troppo ma a vuoto, senza costrutto, senza una direzione di marcia, anche qui per voglia di autoriproduzione, smania di apparire, in ordine sparso, spesso alimentati da logiche vecchie di vecchie cordate, accademiche non solo. Si parlano addosso alla fine della fiera! Tacciono organizzazioni e movimenti, che ci sono a decine. Anzi a centinaia, in una confusione senza fine di sigle, siglette, che nascono e muoiono nello spazio di un mattino e anche qui per apparire, segnare il posto, farsi vedere per una prossima puntata. Altro giro e altra corsa! Tacciono le grandi sigle storiche del mondo che un tempo contava, oggi in via d’estinzione per la morte della mediazione sociale. Sono quelle dei produttori, sia quelli dalla parte dei lavoratori che quelli della parte degli imprenditori in tutte le salse ed accezioni (industria, agricoltura, commercio, artigianato). Queste sono quelle che in apparenza parlano assai e di più ma che non hanno da tempo la bussola di una proposta unificante, alternando così protesta e rabbia, ma non riuscendo a cogliere nemmeno loro – eppure gli strumenti di conoscenza non mancherebbero – il corridoio decisivo. Tacciono le istituzioni delegate a fare crescere cultura e conoscenza. Eppure ci sono ben quattro Università in un territorio tutto sommato piccolo. Tace il ventre molle e duro assieme di una società dei senza lavoro, dove ogni famiglia di pensionati ne mantiene almeno tre (non si sa fino a quando…), tutti assieme ballando sull’arcifamoso Titanic prima dell’impatto con l’iceberg, che qui potrebbe anche non avvenire mai.
La Calabria silente, appunto. Così come l’ha fotografata in una fulminante riflessione lo scrittore Gioacchino Criaco: ‘’Tanti, troppi hanno tradito. Schiere di noi calabresi abbiamo messo la nostra terra sotto i piedi, non c’è stato nemmeno bisogno di un intervento da fuori, si sono limitati e si limitano a raccogliere i cocci dei disastri indigeni e a ghermire le vite giovani e i cervelli buoni per portaseli via. (…) È solo con noi che dobbiamo prendercela. La Calabria è un sacco immenso, dentro ci mangiano lupi calabrotti e fiere d’altrove. I calabresi, ignavi, tengono aperto il sacco. La verità è lampante’’. Se non si rompe questo muro del silenzio che sta distruggendo speranze e vite poco spazio c’è dinanzi a questo pezzo d’Italia.