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Per la prima volta, dopo l'incendio che per quattro giorni ha devastato il Monte Reventino (m. 1417), vado al suo funerale. Sono io che uso questo termine, per semplificare. Lui, il Reventino non sarebbe affatto d'accordo. Le montagne non muoiono mai. Possono essere saccheggiate, bruciate, diboscate, azzannate, ma restano al loro posto. E se lasciate in pace per una decina d'anni tornano a vestirsi di vegetazione e di fiori. Comunque sia, per me è un funerale. Cammino in silenzio lungo un sentiero che taglia a mezza costa la ripida pendice sud del Reventino. Era diventato meta di migliaia di camminatori. Ci portavo chi voleva farsi un'idea della montagna ed anche immaginare di essere in Sila ma con veduta ravvicinata del mare. Tutti restavano basiti. Una stretta traccia costruita dagli operai che negli anni '50 del secolo scorso operarono sulla montagna per piantumare decine di migliaia di alberelli di pino laricio, dopo aver terrazzato questa ripida e franosa pendice. Oggi è tutto nero: il terreno un tempo ricco di erbe, fiori, arbusti, felci; gli alberi, tristi in attesa di crollare; le rocce, prima ricamate da muschi, licheni, piccole felci. Ogni passo solleva una nuvoletta di cenere e fumo. Pietre sono scivolate dappertutto. Dai punti panoramici noto i boschi di conifere di questo versante sono andati bruciati per oltre due terzi, insieme a quelli di macchia delle zone più basse, tutt'intorno all'abitato di Campochiesa. Giunto sulla stradina di crinale, trovo miracolosamente intatto il bosco sul lato destro, quello di Conflenti. Ed anche sul lato sinistro il crinale di Monticello del Pubblico fino a Monte Faggio è danneggiato al 50%. Oltre, a Capo Bove, Monte Tombarino e Monte S. Maria, l'incendio non è giunto. Un calcolo approssimativo ci dice che sono andati persi almento 150 ettari di foresta. Rifletto su come tutto è comunciato: un piccolo focolaio sotto Monte Faggio, in una zona impervia, che ha cominciato ad ardere domenica sera, ma sul quale, nonostante le richieste, i soccorsi sono arrivati con molto ritardo. Gli abitanti della zona, tutti contadini e boscaioli hanno sottovalutato quel che stava accadendo: loro conoscono il territorio, hanno mezzi, avrebbero potuto spegnere il focolaio in poche ore se si fossero messi insieme. Il risultato è che già il secondo giorno si sono trovati circondati dal fuoco ed hanno vissuto momenti di panico assoluto. Poi, il terzo giorno, l'incendio ha risalito, violento e devastante, i 400 metri di dislivello che separano la cima dalla conca di Campochiesa. Ha raggiunto il crinale principle, ha superato la stradina asfaltata di cresta ed ha attaccato il versante nord del Comune di Decollatura. Intanto è intervenuto un elicottero e le squadre di terra hanno cominciato a spegnere. Per raggiungere alcuni punti è stato necessario l'intervento di una ruspa messa a disposizione dal Comune di Platania. Poi, lentamente, si è riusciti ad aver la meglio. Sono salvi il versante di Decollatura (salvo qualche tratto di bosco) e quello di Conflenti - che dopo alcuni giorni subirà un autonomo incendio -. Camminando ho notato lo stato pietoso delle piste forestali che oggi, per buona parte non sono percorribili neppure con un fuoristrada, figuriamoci con le autobotti. I laterali delle stradine sono invase da due metri di erbe ed arbusti che impediscono loro di fungere da strisce tagliafuoco. Le vecchie strisce tagliafuoco non esistono più. Meravigliose fioriture di epilobio erano chiari segnali di speranza che il Reventino mi stava inviando. Anche in questo caso ho avuto la sensazione che tra quanti sono accorsi durante le operazioni di spegnimento, c'era chi aveva appiccato il fuoco. Io so ... - direbbe Pasolini - ma non ho le prove. Una cosa è certa però: se qualche volta lo beccheranno con le mani nel sacco e qualcuno tenterà di linciarlo, io me ne tornerò a casa a lavarmi di dosso il sudore e l'odore del fuoco: non sono un pompiere esattamente come non sono un poliziotto.