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Domenica dopo la tragedia. Sul sentiero che da Sant’Anna sale verso la Timpa di San Lorenzo. Alta valle del Raganello. Non prendo pace. Penso sempre a quel che è accaduto. Mia figlia mi ha detto: “io parlo al Francesco di fuori, ma non arrivo al mio papà che sta dentro”. Le cose accadono per una qualche misteriosa ragione. Che ha un significato profondo per la nostra psiche. Dalla piccola casa di pietre una vecchina ci osserva. Lei vede la montagna e la valle come nessun’altro. E’ qui da quando è nata. Ogni alba, ogni tramonto, ogni pioggia, ogni bufera, ogni nevicata, ogni ululato, ogni soffio di vento. Lei è la memoria della montagna. Non perché l’abbia salita una o cento volte - forse non l’ha mai fatto -.
Ma perché ci vive in simbiosi da sempre. Ogni santo giorno. Lei sa ascoltarla. Ci innalziamo lungo la pendice sotto le grandi rupi. A destra i cento rivi che scendono verso il Raganello. Dovevo incontrare il fiume. Credevo fosse solo per riconciliarmi con lui. Mentre saliamo, un’enorme nube plumbea si materializza sopra di noi. Il cielo ribolle. Si alza un vento furioso. Sembra che il cielo voglia esplodere. Procediamo lentamente, sovrastati da un’ira terribile. Pronti a ripiegare al primo tuono, alla prima goccia. Improvvisamente comprendo perché sono venuto.
In silenzio, ripiegato in terra, pronuncio le mie preghiere. Il vento tace. La nube naviga verso oriente e va a piazzarsi sul Monte Sparviere. Arriviamo in cima. Sotto di noi l’enorme parete di roccia che cala a picco verso il Raganello. Tutt’intorno il paradiso. O l’inferno. Poco importa. La natura non è né buona né cattiva. E’, e basta. Per gli antichi greci era l’unica essenza increata. Veniva prima degli dei. Era dominata da “ananke”, la necessità: tutto accade perché deve accadere. Prego ancora. Il fiume è laggiù. So che mi sta ascoltando.