Mucone, Macchialonga, Fossiata: I pascoli del cielo

Scritto da  Pubblicato in Francesco Bevilacqua

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francesco-bevilacqua-foto-blog-nuova_5177a_37863_9c179_3f6c2_f8d7a.jpgBuon Dio, fa’ che il tempo scorra più lentamente. Come per quell’uomo a dorso d’asino che, all’imbrunire, torna a casa dai campi. Sì, ricordo quel che pensava Sant’Agostino del tempo: “se mi chiedi cos’è il tempo lo so, se mi dici di spiegarlo non lo so più”. Vorresti che rinunciassi all’illusione di vedere il tempo dilatarsi, fermarsi per qualche istante? Solo perché Agostino si disse – provocatoriamente - incapace di spiegarlo? È proprio questa difficoltà, invece, che apre la porta al mistero e alla speranza. Dunque, mio Signore, dammi oggi l’illusione di fermare il tempo fra le colonne del cielo, fra i titani della Sila. Doveva essere un’altra la meta del nostro errare, la prima dopo la stagione degli incendi, su improvvisato invito di alcuni amici. Ma all’ultimo istante ho un ripensamento. Ho bisogno di pace e serenità, dopo le ansie, le amarezze, la tristezza. Ho chiamato gli altri e ho detto: “Fossiata”. Con addosso ancora il fumo dei roghi, la sensazione di pericolo, calore ed arsura, scendere nell’utero umido, limpido e frusciante del Mucone mi dà le vertigini. Comprendo subito d’essere sul sentiero buono, di avere davanti la medicina per tornare nel mio Tutto. Risaliamo la gola del fiume per piste, nell’abbraccio rassicurante della foresta di smeraldo. Dopo tanta cenere, tanto nero, tanti alberi bruciati, è un prodigio! Incredulo, poggio timidamente i piedi uno avanti all’altro, fluttuo nell’aria umida, leggero, per non pesare alla Terra. Dimentico di quel tempo che mi dà ansia. Ho paura! Paura che anche quest’altra meraviglia possa essere distrutta dal fuoco. Ai primi pini giganteschi il cuore va a quelli che abbiamo perso in Aspromonte. Penso: se gli uomini non fossero stati così stupidi la Foresta di Acatti si sarebbe salvata. M’invade un senso di commozione, di impotenza, di rabbia. Pure qui il fuoco è passato anni fa: lo vedo dai pini anneriti alla base. Che però sono sopravvissuti. Perché non è andata così anche ad Acatti? Saliamo in alto. Sostiamo in silenzio al nostro belvedere selvaggio e segreto sotto Cozzo del Principe. Si potrebbe credere d’essere in Canada, nella regione dei laghi. Il Cecita è incorniciato delle rupi e dai pini. Il cielo terso si specchia sul lago, si fa strada fra le fronde. Poi su, sino a Macchialonga. Altopiano nell’altopiano, grande prateria circondata da Cozzo del Principe, Serra Ripollata, Monte Pettinascura: per tutti noi un luogo dell’anima. C’è silenzio. Solo lo scampanio delle vacche. Penso sempre a liberare dal pascolo bovino questo luogo unico e lasciare che man mano si riempia di selvatici. Vagheggio, un giorno, di osservarlo pullulante di cervi. Leggo gratitudine negli occhi di Gabriella, errante fiorentina che ogni volta che può ci segue nei nostri smarrimenti. Poco dopo, scendendo verso la Fossiata, la ritraggo nel cavo di un enorme pino. E così con gli altri amici, nella sequela infinita dei titani. Vale per me, sempre, quando vengo qui, il sentimento del caporale del romanzo di Steimbeck: “Nel pomeriggio del secondo giorno un giovane cervo passò di volata dinanzi al caporale e scomparve dietro il ciglione. Il caporale si staccò dalla colonna per inseguirlo. Quando, sullo stremato cavallo, raggiunse la vetta del ciglione, si fermò stupito per lo spettacolo che gli si aprì sotto gli occhi. Una lunga valle si stendeva entro un anello di colline che la proteggevano dalla nebbia e dai venti. Disseminata di querce, era coperta di verde pastura e formicolava di cervi. Al cospetto di tanta serena bellezza il caporale si sentì commosso. […] Scese di sella e si tolse il casco d’acciaio. «Madre di Dio!» mormorò. «Questi sono i verdi pascoli del Cielo ai quali il Signore ci conduce»”.     

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