La Calabria spagnola nel Seicento tra declino economico e crisi sociale

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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francesco_vescio-ok_75462_b6c81_0f215_b408a.jpgL’ultimo periodo della dominazione spagnola in Calabria segnò un momento particolarmente critico sia dal punto di vista del regresso economico sia dall’aggravarsi delle diseguaglianze sociali che portarono a conflitti particolarmente accentuati per durata ed intensità; c’è da evidenziare, inoltre,  che, secondo alcuni storici, le conseguenze di tali fenomeni perdureranno anche nei secoli successivi e caratterizzeranno la regione negativamente anche nei confronti di altre regioni del Mezzogiorno continentale.

Nel presente testo si darà inizialmente l’esposizione di un quadro generale della problematica affrontata, partendo dalla situazione particolare della regione in  relazione alla più vasta problematica della crisi che riguardò la Corona spagnola nel corso del XVII secolo, si passerà poi ad esaminare  gli specifici fenomeni regressivi calabresi, che per diversi motivi sono ritenuti particolarmente negativi rispetto ad altre aree meridionali, anch’esse in situazioni complessive di decadenza.

Il brano successivo offre un quadro d’insieme malinconicamente realistico, sebbene particolarmente fosco, della realtà complessiva della regione nel XVII secolo: “Gli anelli della lunga catena del sottosviluppo si saldano nel tardo Seicento: nuovi fattori esterni – oppressione fiscale, crisi economica, scoperte geografiche spostamento dell’asse del mondo dal Mediterraneo al Mare del Nord, disimpegno dei capitali e degli imprenditori stranieri dal viceregno – si aggiungono agli antichi mali cronici - povertà di risorse, malaria, incursioni barbaresche, banditismo, terremoti, dissesto idrogeologico, abusi feudali, declino demografico. La regione si avvizzisce, si chiude in sé stessa in un isolamento che acuisce i problemi secolari. L’esodo del capitale e dell’iniziativa straniera lascia la popolazione nella miseria ed in un vivere rassegnato […] I processi involutivi coinvolgono, con l’economia e la società, il costume. Se la nobiltà trae vanto e motivo di prestigio nel non esercitare alcuna attività ed è sospinta in un parassitismo nel quale egoismo ed inettitudine si fondono in uno spregevole connubio, il popolo, quando non soggiace alla bestiale rassegnazione delle malversazioni feudali, si rifugia nelle confraternite o si dà ai Turchi o a alla macchia. Ma nella Calabria, pur così ridotta ad una sorta di mummia, impoverita nelle sue risorse, dissanguata nelle sue energie, si attardano ancora gli sciacalli che cercano di divorare le ultime briciole di quanto resta; nessuna umana pietà per il popolo, ma meraviglia e orrore per la rozzezza dei costumi e la ferocia degli abitanti, ai quali si vuole negare il primordiale e legittimo istinto della conservazione e la naturale reazione di chi è ferito mortalmente: grandi feudatari residenti a Napoli e voraci e insaziabili commendatari prelevano con indifferenza le rendite dell’esausta regione per consumarle in una vita dispendiosa e fastosa. Scemano tutte le attività e sopravvive la sola agricoltura, fonte essenziale di vita anche nei centri maggiori della regione” (Giuseppe Brasacchio, Storia economica della Calabria – Dalla Dominazione Aragonese – 1442- al Viceregno- 1734, Edizioni EffeEmme, Chiaravalle Centrale, 1977, pp. 354-355).

Al fine di chiarire l’intrecciarsi dei diversi fattori negativi che causarono la decadenza della Calabria nel Seicento pare opportuno soffermarsi su alcuni di essi particolarmente rilevanti; la scoperta dell’America e la circumnavigazione dell’Africa spostarono le grandi vie commerciali dal Mediterraneo all’Atlantico e al Pacifico: ciò portò enormi benefici a Paesi come l’Inghilterra, la Francia, l’Olanda etc., mentre lo scontro nel Mediterraneo tra l’impero Turco e quello Spagnolo inaridirono ancora di più i commerci. La Spagna ricevette tanto oro  argento dalle sue colonie americane, ma nello stesso tempo non ebbe  uno sviluppo nel settore economico e ciò causò un aumento eccessivo dei prezzi dei prodotti importati ( fenomeno dell’inflazione galoppante); ancora le numerose guerre combattute contro la Francia, l’Impero Ottomano, l’Inghilterra, gli Asburgo d’Austria, l’Olanda etc. portarono gravi effetti alle finanze spagnole con i conseguenti opprimenti aumenti delle imposizioni fiscali, che colpivano principalmente i ceti popolari. La Calabria diventò una regione sempre più periferica nel sistema statuale spagnolo per i traffici, ma non per la tassazione che la popolazione sentiva sempre più insopportabili e tutto ciò provocò le reazioni descritte nel passo sopra citato.

La gravità e la profondità della crisi dell’Impero Spagnolo nel XVII secolo è delineata efficacemente nel testo seguente: “Quando venne il momento, le risorse necessarie per la ripresa della guerra con le Province Unite e per la partecipazione alla guerra dei Trent’anni furono trovate con espedienti di ogni genere e con inaudita intensificazione del prelievo finanziario e umano dai domini italiani, soprattutto Napoli e Sicilia. Quel che si dimostrò insolubile fu invece il problema della riforma o del complesso di riforme di cui la monarchia spagnola [e] i suoi domini europei avevano bisogno. In parte, il problema era comune anche ad altri paesi dell’Occidente europeo. Ma in  Spagna la scarsa attitudine della nobiltà all’impegno nell’attività produttiva, l’estensione della presenza ecclesiastica, la debolezza della borghesia e del sistema produttivo, gli squilibri sociali, la mancanza di coesione tra gli Stati che componevano la monarchia, erano più accentuati che altrove […] Il risultato finale fu l’aggravamento della crisi interna e un largo movimento centrifugo che sfociò nelle rivoluzioni del Portogallo, della Catalogna e del regno di Napoli” (Rosario Villari, Mille Anni di Storia- Dalla Città Medievale all’Unità dell’Europa, Laterza, Roma-Bari, 2000, pp. 238-240).

La Calabria in quel periodo storico subì tutte le conseguenze negative dell’Impero Spagnolo di cui faceva parte, ma alcuni aspetti peculiari dell’involuzione economica e sociale si possono cogliere dalla lettura del passo riportato  di seguito: “Quel che è certo è che la Calabria degli inizi del secolo XVIII non è più quella degli inizi del secolo XVI, e ancora meno quella che nella seconda metà dello stesso secolo XVI sembrava avviata a un fiorente viluppo. Soprattutto, è un ripiegamento su sé stessa, un rinchiudersi nei suoi angusti orizzonti provinciali che la regione fa registrare. Diventa evidente, in particolare, dal quinto al sesto decennio del secolo XVII, che la recessione si viene trasformando in una stagnazione secolare, che riduce di molto il respiro e le spinte dell’economia regionale, nonostante gli sforzi tesi a insistere sugli elementi che erano stati alla base del suo precedente fiorire. Nel decadere della sericoltura, le stesse maggiori fiere calabresi vedono ridursi di molto il loro ruolo di attivi mercati di quella materia prima sulla quale si fondava tanta parte dell’economia calabrese, e si configurano sempre più come luoghi e occasioni di smercio dei prodotti regionali. E, ovviamente, in parallelo con questo importante mutamento di prospettiva, la produzione agraria e quel tanto di produzione manifatturiera che si può ritrovare nella regione si istradano su una triplice direzione, che si dimostrerà duratura: oltre la parte dominante che va al consumo locale, resta cospicua la parte che serve all’annona e al mercato di Napoli, e solo una certa parte viene smerciata nei paesi vicini. Più grave ancora appare la sclerosi sociale, osservabile sia sul fronte baronale sia su quello dei ceti che abbiamo definito, in qualche modo o per qualche ragione borghesi […]” (Giuseppe Galasso, La Calabria Spagnola, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012, pp.154-155).

Da quanto è stato evidenziato sopra si può inferire chiaramente che la regione ebbe conseguenze fortemente negative, sia economicamente sia socialmente parlando, in conseguenza della crisi generale che colpì l’Impero Spagnolo nel suo complesso, per l’esosità del fisco ma principalmente a causa della riduzione dei traffici e degli scambi tra i Paesi dell’area mediterranea; certamente le condizioni di vita peggiorarono soprattutto per i ceti popolari e borghesi non per quelli nobiliari.                                                                                     

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