La Calabria nel primo Settecento: dalla dominazione spagnola a quella austriaca

Scritto da  Pubblicato in Francesco Vescio

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francesco_vescio-ok.jpgNel presente scritto si tenderà a delineare, in maniera sintetica, gli eventi storicamente più significativi dal punto di vista dinastico, politico-amministrativo e sociale che si verificarono in Calabria nei primi decenni del XVIII secolo considerati in stretta relazione con quanto avveniva in Europa ed in Italia nel periodo indicato. Nel testo che segue viene evidenziato uno dei mutamenti più significativi di quel periodo storico: “Il XVIII secolo può essere considerato come uno spartiacque tra il passato e il mondo contemporaneo. Il primo e più evidente dato della svolta che allora cominciò a realizzarsi è offerto dal movimento demografico […] Tra l’inizio e la fine del secolo la popolazione complessiva europea passò da circa 118 milioni a 187 milioni […] L’aumento demografico settecentesco, eccezionale per intensità e continuità, cambiò anche la struttura della popolazione, poiché la percentuale di giovani divenne molto maggiore che nel passato per la forte diminuzione della mortalità infantile. Non è un caso se nel Settecento i giovani ebbero un posto rilevante tra le forze dirigenti della politica, della cultura, dell’esercito; e non è da trascurare questo fatto quando si vuole comprendere il dinamismo, lo slancio, l’audacia che furono propri di quel secolo […] Per una larga parte alla ripresa demografica si fece fronte con i mezzi tradizionali dell’espansione delle colture e con la diffusione di nuove piante ( mais, patate) importate dalle colonie già nel sedicesimo secolo, che avevano un rendimento molto superiore a quello dei cereali. Ma il problema fondamentale affrontato nel Settecento fu quello della intensificazione delle colture, del maggiore  rendimento del suolo: un problema che non si poteva risolvere senza modificare l’assetto tradizionale dell’economia agraria. Per arricchire il suolo era necessario espandere l’allevamento del bestiame e le colture foraggere, sostituendo alla coltura estensiva del grano un sistema in cui si associavano campi seminati a grano e prati artificiali. In questo modo si poteva ottenere una più alta produzione di carne e, nello stesso tempo, un rendimento maggiore dei seminativi. Il nuovo sistema imponeva un forte impiego di capitali sulla terra, l’adozione di tecniche colturali più complesse e il superamento dei limiti che una antica organizzazione dei rapporti sociali nelle campagne imponeva alla libertà di iniziativa dei proprietari” (Rosario Villari, Mille Anni di Storia- Dalla Città Medievale all’Unità dell’Europa, Laterza, Roma – Bari, 2000, pp. 292-293).

Va evidenziato che tale modernizzazione dell’agricoltura e la trasformazione dei rapporti sociali nelle campagne non si verificò contemporaneamente in tutta l’Europa, per come viene esplicitato nel brano successivo: “In Inghilterra, in Olanda, nella Pianura padana si era già creato il modello della moderna azienda di tipo capitalistico. In Francia, in Belgio, in Italia centro-meridionale e in Spagna il movimento incontrò maggiori ostacoli nel tradizionalismo dei ceti dominanti, nella resistenza dei contadini e nella più debole iniziativa della borghesia terriera. Ad eccezione della Spagna meridionale e del Mezzogiorno d’Italia, anche in questi paesi, però, la riorganizzazione del sistema agrario fu avviato e continuò  poi nell’Ottocento (Rosario Villari, Ibidem, pp.295-296). A livello politico, dinastico, diplomatico e militare  l’attenzione maggiore fu rivolta alla problematica relativa alla successione contestata di alcuni dei più importanti monarchi, come, in questo caso, il sovrano di Spagna, di cui si tratta nel passo che seguente: "Intanto, negli ultimi anni de ’600 cominciano i contrasti tra le potenze europee in vista di una prossima successione ai domini spagnoli, di cui i principali candidati [ Si trattava, quasi sempre, di un intricato groviglio di parentele  tra i vari rami delle diverse case regnanti europee, che trattavano gli affari di Stato alla stregua di diritti di successione e nello stesso tempo di equilibrio tra le potenze tramite i matrimoni, le guerre ed i trattati, N.d.R. ] sono Giuseppe Ferdinando di Baviera ( morto però nel 1699), l’Arciduca Carlo d’ Austria e Filippo d’Angiò. Anche a Napoli si segue con apprensione  tale vicenda, data la consapevolezza che la scomparsa del sovrano creerà molti disagi. Per tutto il 1699 la salute del re si mantiene buona. Per prudenza, però, il 31 maggio 1700 Francia, Olanda e Inghilterra stipulano un trattato di spartizione nell’eventualità della scomparsa di Carlo II, anche se il sovrano vi si oppone. Ma il 10 novembre 1700, pur essendo da poco giunta in Napoli [ Allora capitale del Viceregno spagnolo, di cui faceva parte anche la Calabria, N.d.R.] la rassicurante notizia di un improvviso miglioramento delle sue condizioni di salute, il sovrano muore lasciando i suoi domini in balia della crisi dinastica” ( Maria Sirago, La Calabria nel Seicento, in ’Storia della Calabria Moderna e Contemporanea’, Gangemi Editore, Roma- Reggio Cal., 1992, pp. 253-254). Al fine di offrire un quadro sintetico su come fosse percepita ed affrontata la questione della successione spagnola nel Viceregno si riporta il testo successivo: "Nel dibattito sulla successione spagnola, a Napoli si potevano avanzare argomenti di continuità e legittimità a favore degli Asburgo d’Austria, o di continuità nel legame con la Spagna e con l’erede designato dal suo re [ L’erede designato era il nipote di Luigi XIV di Borbone, cioè Filippò d’Angiò di cui si è fatto cenno sopra, N.d.R. ]. Ai gruppi effettivamente presenti sulla scena politica togati, nobili, ecclesiastici, principalmente importava garantire gli equilibri esistenti al loro interno, ampliando eventualmente le rispettive sfere d’influenza, ma non mancava l’esigenza generale di una politica fondata sui bisogni del paese [ … ] Il 22 gennaio 1701 Filippo V si insediava sul trono spagnolo. La guerra era inevitabile , ma a Napoli il mutamento dinastico avvenne senza scosse [...] Il regno di Filippo V, in effetti, confermò sostanzialmente gli equilibri preesistenti,  e fu troppo breve e precario per poter caratterizzare con una linea politica autonoma gli ultimi anni del governo spagnolo. Il 17 aprile 1702 Filippo V era a Napoli, dove rimase fino al 2 giugno, corteggiato e celebrato come l’evento richiedeva. Da 166 anni il regno non aveva la visita di un re: i precedenti risalivano ai viaggi di Ferdinando il Cattolico nel 1506-7 e di Carlo V nel 1535-6 ” ( Anna Maria Rao, La Calabria nel Settecento, in’ Storia della Calabria Moderna e Contemporanea’, Gangemi Editore, Roma- Reggio Cal., 1992, p. 304-309).   

La Guerra di Successione Spagnola portò alla conquista austriaca dell’Italia meridionale e le reazioni in Calabria rispetto a tale evento sono delineate nel testo che segue: “All’avvento degli austriaci, nel 1707, da ogni città delle Calabrie affluirono lettere e petizioni al nuovo governo, con dichiarazioni di entusiasmo delle amministrazioni locali per il ristabilimento della casa d’Austria. Molti feudatari del catanzarese mandarono dei procuratori a Napoli a prestare giuramento di omaggio al sovrano austriaco.  Ma al di là delle dichiarazioni formali inviate ai viceré, i mutamenti dinastici, già passivamente vissuti a Napoli, con uguale passività furono accolti in Calabria” ( Anna Maria Rao, Ibidem, p. 312). La realtà economica e sociale della Calabria fondamentalmente rimase immutata, per come si può inferire dal passo successivo. “Benché il governo di Vienna fosse animato di ottime intenzioni di mettere ordine nel complicato e farraginoso apparato burocratico amministrativo,  gli eccessi fiscali furono rovinosi […] Tra il 1721 e il 1722 in Calabria gruppi di contadini armati, con elementi del popolo grasso delle università [ Tale termine allora denotava le circoscrizioni amministrative corrispondenti agli odierni Comuni, N.d.R.] manifestarono il malcontento soprattutto a Reggio e Tropea. Incidentalmente va ricordato che tra il 1721 e 1722 le due Calabrie erano le provincie più gravate dal fisco rispetto a tutte le altre” (Giuseppe Brasacchio, Storia Economica della Calabria- Dalla Restituzione del Regno all’Occupazione Francese- 1734-1806, Edizioni EffeEmme, Chiaravalle Centrale, 1977, p. 6). Qualche aspetto positivo di rinnovamento si ebbe nella cultura, per come chiaramente indicato nel brano successivo: “Ma i mutamenti investono non tanto le cose quanto gli spiriti, sorge l’alba di una nuova cultura che dissoda in profondità il terreno e prepara la feconda messe del secolo dei lumi. Il pensiero dei grandi del Seicento non era morto nelle segrete del carcere con Campanella e Serra ma era più vivo che mai e anzi rischiarato dallo spirito cartesiano” (Giuseppe Brasacchio, Ibidem, p. 8). Il governo austriaco non portò, quindi, rilevanti novità fattuali nella regione, ma mostrò un impegno innovativo ed indicò nuovi indirizzi principalmente nell’organizzazione burocratico-amministrativa.

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