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Dopo il voto, erano passate solo 48 ore, e nel Pd era ricominciata la solita babele: ognuno la vede per come gli pare e al povero Zingaretti vengono proposte soluzioni opposte, da dentro e da fuori il suo partito. Intendiamoci: Zingaretti un cambio di passo lo deve fare se non vuole solo sopravvivere, come gli ha suggerito Massimo D’Alema. Ma a leggere i commenti post voto di due analisti politici di primo livello viene voglia di suggerire al segretario Pd di lasciare perdere. Non è cosa… Su Strisciarossa (blog di sinistra animato dagli ex Unita’) Michele Prospero, docente universitario ex Pci, scrive ad esempio così: ‘’(…) il voto europeo ha per ora risolto, a vantaggio del Pd, la prima battaglia, quella per decidere sul campo chi deve esibire i galloni per guidare l’alternativa alla destra. (…) Il voto ha dissolto l’equivoco M5S e ha conferito un mandato politico al Pd. Alla forza più solida sono andati i voti per proteggersi in prossimità di un pericolo percepito come imminente per la tenuta democratica. Gli analisti dei flussi riscontrano questa composizione dell’elettorato Pd: il 40% lo ha votato per contrastare l’avanzata del populismo, il 29% lo ha scelto per fermare il leader della Lega, il 31% lo ha premiato per costruire un nuovo centrosinistra. Su queste basi, il Pd ha inghiottito anche il voto della sinistra più radicale.
L’irrilevanza delle sigle elettorali alla sua sinistra, non dovrebbe significare per il Pd la rincorsa dei moderati in una prospettiva liberaldemocratica. Secondo la registrazione dei flussi, nel nuovo voto al Pd è più rilevante la componente di sinistra che cresce a discapito di quella centrista. Per attrezzarsi alla seconda battaglia, quella per guida del paese, che potrebbe avvicinarsi vista la difficile tenuta del governo, il Pd deve sciogliere i suoi nodi identitari originari, e al tempo stesso disegnare ampie coalizioni che a livello amministrativo hanno reso già competitiva l’opposizione’’. Scrive all’esatto opposto Umberto Minopoli, anche lui ex Pci ala migliorista e oggi presidente dell’Associazione Italiana Nucleare (AIN): ‘’(…) dicono che il Pd ha bisogno di alleanze. Forse il Pd ha bisogno, piu' che di alleanze o prima che di alleanze, di crescere. Nessuno dice la verità: un partito che ristagna al 20/22% non basta per fare alternativa. Ma, intanto, non può fare nemmeno alleanze o coalizioni. (…) Con chi? Con tutto il percentualume, a destra e a sinistra di esso. Inutile.
Così si ristagna soltanto. Come si è visto. Una coalizione con tutto il folclore di sigle e siglette (senza voti) a sinistra ma anche a destra (+ Europa) non andrebbe oltre il 25%. Poco per essere alternativa a Salvini. Per questo, nel retropensiero di Zingaretti, ci sono sempre i 5 Stelle. Una fissa. Perché nessuno dice che ci sarebbe, invece, un'altra strada? Senza i 5 Stelle e senza le sfigate coalizioni-paccottiglia di Zingaretti? Si chiama Pd. Anzi si chiama "vocazione maggioritaria" del Pd. È l'obiettivo di puntare, da solo, al 30/40% dei voti. Perché no? È precluso al Pd? A quello attuale sì. (…) Suppone un Pd come quello del 2014. Quello che hanno cancellato. E completamente altro da quello che c’é: un Pd che abbia un programma convincente ed attrattivo di riforme; un partito del Pil che indichi una politica espansiva, di crescita per l’economia e la società, un "partito della Nazione" che parli all'intera società italiana (e non solo ai presunti ultimi), che raccolga direttamente elettori moderati e di centro, che prima che ai partiti, per fare alleanze, si rivolga, con credibilità e ottimismo, alle forze sociali che vogliono la crescita. E che, infine, abbia una leadership. Senza leader, è provato, non si va da nessuna parte. Il Pd ha fatto un congresso per dire il contrario. Direte: ma tu proponi il Pd che c'era con Renzi! Appunto’’.
Insomma: la Babele prosegue, povero Zingaretti!