Il conclave del Pd in vista della verifica di maggioranza e del futuro congresso

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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 Il “Grazie Immenso” di Nicola Zingaretti alle Sardine, dopo i risultati elettorali in Emilia Romagna è significativo. Il segretario del Pd evidenzia la sua onestà intellettuale, perché non ha difficoltà ad ammettere che hanno dato una mano importante in termini di sensibilità e partecipazione alla buona politica e per la conferma di Stefano Bonaccini alla guida della Regione Emilia Romagna. L’esternazione della gratitudine rivela pure sollievo e soddisfazione considerata la campagna elettorale a tutto spiano di Matteo Salvini: a colpi di tweet, di slogan, di selfie, di populismo. Nel contempo sottintende che per vincere c’è bisogno di qualcosa di nuovo nei movimenti e, soprattutto, nei partiti del centrosinistra, in particolare nel suo partito. Le candidature civiche rappresentano una svolta positiva, ma non bastano come dimostra la netta sconfitta in Calabria. Sono necessarie discontinuità e una diversa visione con nuovi progetti per gli anni che verranno e programmi adeguati alle problematiche dell’oggi. A mio modesto avviso il segretario del Pd ha trovato la giusta direzione, anche se il cammino non sembra facile. Già, a gennaio di quest’anno, nel “colloquio con la Repubblica”, Zingaretti ha annunciato il Partito nuovo, richiamandosi a Piazza Grande, il logo con il quale ha lanciato la sua candidatura agli inizi della campagna congressuale per la segreteria del Partito democratico nell’autunno del 2018. Allora aveva parlato di diseguaglianze e reddito di inclusione; di Unione europea da rifondare, di burocrazia lenta e di superamento del divario Nord-Sud. Piazza Grande era l’appuntamento di tutti, non solo degli iscritti e dei simpatizzanti del Partito democratico: “Così il Pd può diventare un partito più aperto, più democratico più ricco di esperienze intellettuali e culturali”. In quel momento importante, perché viatico verso la segreteria del Pd, il presidente della Regione Lazio sosteneva una politica di forte discontinuità in riferimento al problema della povertà. Poi in agenda: un’Europa non solo finanziaria, ma anche politica, un cammino europeo per arrivare agli Stati Uniti d’Europa. Tutto questo da discutere in un congresso aperto a tutta la società italiana.

Quanto sintetizzato è stato ribadito dal segretario del Pd alcune settimane fa nel conclave del partito tenutosi nell’Abbazia di San Pastore in provincia di Rieti alla presenza del gruppo dirigente. Proposte al Governo: la rivoluzione verde, sburocratizzazione per favorire le imprese e i cittadini, parità salariale uomo-donna ed equilibrio Nord-Sud, aumento della spesa per l’educazione, piano per la salute e l’assistenza. Dopo la fase emergenziale (del Governo giallorosso) superata con l’approvazione della legge di bilancio che ha evitato l’esercizio provvisorio e l’aumento automatico dell’Iva (23 miliardi), ecco quella progettuale con lo stesso Esecutivo: “Questo partito ha salvato l’Italia dalla catastrofe” (…) Ora ci vuole un salto in avanti (…) che dovrà vedere protagonista la squadra che si mette al servizio di questo progetto”. Naturalmente nel confronto con gli altri e “con politiche di sostegno” verso chi soffre le disuguaglianze economiche e sociali. In sintonia con il rapporto Oxfam 2019 (riportato dall’agenzia d’informazione Sir): “A metà del 2018, in Italia il 20% più ricco dei nostri connazionali possedeva nello stesso periodo circa il 72% dell’intera ricchezza nazionale. Il 5% più ricco degli Italiani era titolare da solo della stessa quota ricchezza del 90% più povero”. Ancora dati Oxfam pubblicati da Avvenire.it in occasione del Forum economico mondiale di Davos in Svizzera (a cui hanno partecipato leader politici e big di grandi aziende): “I 2.153 esseri umani più facoltosi del pianeta detengono la ricchezza pari al patrimonio di 4,6 miliardi di persone (…) Anche in Italia: da percentuali aggiornate a metà 2019, il 10% più ricco possedeva oltre 6 volte la ricchezza globale della metà dei nostri connazionali”.

 L’intervento del segretario del Pd ha riecheggiato i contenuti dell’ottobre 2018 durante la corsa alla segreteria, in primis sul partito da rifondare, partito rinnovato, aperto alla società “per diventare forza motrice che interpreta questo cambiamento”. Ed è stata affermata “una nuova stagione di riformismo (…) per dare risposte alla condizione umana delle disuguaglianze”. Dunque, partito nuovo, disuguaglianze, riformismo… parole che facevano parte dei discorsi, degli interventi nei congressi di qualche decennio fa tornate attuali, almeno in ambito Pd, dopo l’assenza di dibattito nell’ultimo periodo di populismo mediatico, di partito personale, di uomo solo al comando. Mi sono fatto aiutare da Google e ho trovato un articolo de la Repubblica del 2007, dove viene citato il documento con il quale Ds e Margherita si impegnavano a “dare vita al Partito democratico come partito nuovo e unitario, capace di coinvolgere le migliori espressioni delle culture democratiche e riformiste”. In buona sostanza quello che è stato affermato e dibattuto nel conclave. Nell’intervista a Zingaretti ho letto quanto segue in riferimento a Piazza Grande: “Un partito nuovo che rinasce dalle ceneri del vecchio…”. E poi la messa in discussione del nome. Cercando tra gli scaffali più alti della mia libreria dove ci sono i volumi di qualche decennio fa, ho facilmente rintracciato (ancora la memoria non m’inganna) un libro pubblicato all’inizio del Terzo Millennio: “La casa brucia. I Democratici di Sinistra dal PCI ai giorni nostri” di Iginio Ariemma, scomparso di recente. E’ stato segretario del PCI a Torino e capogruppo al Consiglio comunale della città della Mole; poi segretario e consigliere regionale nel Veneto. Ha ricoperto incarichi di partito importanti nel periodo della solidarietà nazionale, negli anni ’80 e nell’ultimo decennio del secolo scorso. Agli inizi del Terzo Millennio ha ricoperto la carica di vicepresidente nell’associazione “La rete dei cittadini dell’Ulivo”, Pietro Scoppola presidente. Tornando al suo libro, innanzitutto la Casa non è stata avvolta dalle fiamme; sono passati 20 anni e il Pd odierno non è diventato cenere: quasi il 19% dei suffragi alle ultime politiche. Alle Europee del 2019 il 22,7%. Sul retro della copertina parole ancora attuali: “Oggi dunque la sinistra segna il passo e cerca sé stessa”. In premessa l’autore rivela di essere stato incerto tra due titoli: La casa brucia oppure Storia di una sinistra mai nata. Scegliendo il primo, confessa di essere stato un po’ provocatorio. Dopo la caduta del Muro di Berlino e la conseguente Svolta della Bolognina nel 1989, iniziò il percorso della fase costituente che portò allo scioglimento del Pci e alla fondazione del Pds (Partito democratico della sinistra) nel 1991; ancora un altro nome nel 1998: DS (Democratici di sinistra); vi facevano parte, Pds, socialisti, cristiano-sociali e ambientalisti. Fino a metà ottobre del 2007. Dopo venne avviata una ulteriore fase costituente di una nuova formazione politica: il Pd, fondato nello stesso anno, di area riformista, dove confluirono i Democratici di sinistra. In verità l’esigenza di cambiare era presente ben prima della caduta del Muro di Berlino. Sfogliando il libro, ho visto che avevo sottolineato la nota 6 a pagina 45 perché mi rivelava che “la questione del nome comunista”, anche se in minoranza, era presente “fin dal congresso fondativo, successivo alla guerra di Liberazione”. Luigi Longo e Palmiro Togliatti si trovavano d’accordo. Così Giorgio Amendola negli anni ’60 sul “partito unico della sinistra”, anche Francesco De Martino, Segretario del PSI, ed Enrico Berlinguer a metà degli anni ’70. L’indimenticabile Segretario del PCI aveva qualche timore per l’unità del Partito.

 Alle soglie del 2000 Iginio Ariemma aveva visto il futuro della politica italiana: “La Lega è un partito popolare come rappresentanza -un terzo di operai e la maggior parte artigiani e piccoli imprenditori- e pertanto competitivo con la sinistra e i sindacati, ma ha obiettivi e politiche populisti…”. Ancora: “Le politiche keynesiane e quelle del Welfare State sono ansimanti. La globalizzazione le ha stravolte e le mette continuamente in crisi (…) Questi processi stanno svuotando la democrazia. E’ in atto da decenni una crisi della rappresentanza democratica che colpisce tutti i partiti, ma, in particolare la sinistra”. Un altro passaggio che ci riporta all’oggi: “La globalizzazione è un processo necessario e positivo, ma produce enormi problemi: la crescita delle disuguaglianze tra Paesi e all’interno di ogni singolo Paese, lo sperpero di risorse naturali e ambientali…”. E guarda in avanti: “…proiettarsi in avanti nella soluzione dei problemi di oggi, in un nuovo progetto di riformismo in cui le giovani generazioni siano parte essenziale e quelle vecchie (…) possano trovare la loro storia migliore”. Da qui occorre ricominciare. Da qui vuole ricominciare Zingaretti. “per indicare al Paese una prospettiva nuova, per dare una visione dell’Italia, un’alternativa percepibile”, coinvolgendo enti locali, associazioni, movimenti, volontariato. E la citazione finale de Il Principe di Machiavelli: “La virtù militare è spenta perché gli ordini antiqui non erano buoni e non ci è suto [stato] alcuno che abbia saputo trovare de’ nuovi”.  Commentata dallo stesso Ariemma quando venne presentato il libro: “[La frase] pone degli interrogativi alla sinistra e alla politica in genere. Finché non sappiamo costruire un ordine nuovo e una combattività della politica anche rispetto alla economia, non riusciremo a dare alla politica quella funzione che la politica dovrebbe avere”. Ce la farà Zingaretti a realizzare una nuova e positiva funzione della politica? Auguri sinceri!

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