Fascismo, antifascismo e Lamezia

Scritto da  Pubblicato in Giovanni Iuffrida

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Iuffrida_matita-OK_0e788_db425_50701.jpgErnst Nolte in “I tre volti del fascismo” sostiene, semplificando, che con la parola “fascismo” tra i contemporanei si è soliti collegare il ricordo di un’espansione eccezionale (ovvero la formazione dell’“Impero”) e di un crollo totale (la pesante sconfitta nel secondo conflitto mondiale). A questo proposito, Nolte giustamente sostiene che il fascismo non sia vissuto nello spazio temporale di un’epoca (l’unità di tempo storico più piccola), ma che abbia una vita più lunga, riconducibile ad un’era, appunto l’era fascista, manifestandosi tutt’oggi in maniera variegata. Lo stesso plurisignificato attribuito al termine (ora di reazionario, ora, del suo opposto, cioè di rivoluzionario), derivava dal suo essere un neologismo degli anni Venti che doveva essere riempito di contenuto, il più rapidamente possibile, affinché connotasse con urgenza il nuovo movimento politico. Ma ancora oggi è rimasto del tutto inconcluso e confuso, a tal punto che si parla, a ragion veduta, di fascismi e non di fascismo. Sono esistiti, ad esempio, un fascismo fascista e un fascismo democristiano, che continua ancora oggi a sopravvivere sotto varie forme.

Di fatto a tutt’oggi, l’unità del fascismo non è paragonabile a quella del comunismo, che ha una sua origine propriamente culturale, poi progressivamente sedimentata ed assimilata. Gli inquadramenti filosofici hanno consentito al fenomeno comunista una maggiore definizione dei principi ispiratori. Il fascismo fascista si è invece abbarbicato su principi in corso d’opera che hanno favorito inevitabili degenerazioni dei postulati “politico-culturali” delle origini.

Nel fascismo è individuabile qualcosa di nobile (una protesta, una rabbia) ma, nel contempo, si può rilevare una sostanziale differenza tra quello “archeologico” del Ventennio e quello “nominale e artificiale” degli anni Settanta, fino all’identificazione del nuovo fascismo con la “prepotenza del potere” propria della civiltà dei consumi (anche del suolo), capace di modificare il territorio ancora più profondamente (ma con connotati fortemente negativi) di quanto non sia riuscito a fare il regime mussoliniano. Fino ad arrivare, senza soluzione di continuità, al fascismo degli antifascisti. Anche a Lamezia.

Una esemplificazione, utile per capire il senso di queste affermazioni. Lamezia, per esempio, è la città dove il sostantivo fascismo, nel senso appena accennato, ha avuto un campo aperto di applicazioni ed esercitazioni. Il campo urbanistico sicuramente è stato quello maggiormente foriero di accelerazioni e di aberrazioni, soprattutto per le consolidate vocazioni della “cultura” locale a consumare il suolo (in particolare, quello pubblico, come è storicamente dimostrato) ancor prima della nascita della “società dei consumi”, matrice del nuovo significato di fascismo, secondo l’acuta analisi pasoliniana. L’urbanistica, a differenza di altri campi del pensiero, ha il vantaggio di produrre risultati e forme della città le cui qualità sono facilmente valutabili da tutti, prescindendo dai presupposti culturali individuali. In poche parole non c’è bisogno di una attrezzatura culturale particolare per apprezzare la qualità o i disvalori di una città e della sua funzionalità.

L’antifascismo archeologico, che ha finto – come scrive Pier Paolo Pasolini – di dare battaglia ad un fenomeno morto e utilizzato per procurarsi una patente di antifascismo reale, ha consentito alla sinistra locale, anche grazie al variegato menù dell’antimafia di facciata, di governare la città e di produrre le più discutibili soluzioni urbanistiche per il territorio, mutuando metodi propri del fascismo democristiano: dagli innumerevoli casi di spazi pubblici irrisolti alla vicenda dello zuccherificio, per giungere (dando forma e consistenza all’”Impero” locale, soprattutto grazie a un’attenta contrattazione finalizzata alla contabilità elettorale) al sovradimensionato Piano strutturale comunale, quest’ultimo oggi preda e, nello stesso tempo, alibi delle solite fameliche, arroganti lobbies di trasversali orientamenti politici. Ancora una volta trovano, dunque, conferma le visioni pasoliniane che vedono il nuovo fascismo tutt’altra cosa rispetto al fascismo originario fortemente ancorato ai valori della tradizione. Il fascismo contemporaneo, che comprende soprattutto il fascismo degli antifascisti fondato essenzialmente sull’analfabetismo del popolo produttore di anti-cittadini per eccellenza, così è definito dall’intellettuale: “se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell’urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo”, inteso come prepotenza del potere del momento. E il territorio, in termini di tutela, conservazione e valorizzazione, ne paga le conseguenze, quanto gli inconsapevoli cittadini.

Nello spirito e nell’atteggiamento doroteo, che sotto mentite spoglie aleggia fortemente a Lamezia, si nascondono, nella più assoluta spensieratezza, i fascisti dell’antifascismo di oggi che dominano di fatto le trasformazioni urbane e, sono naturalmente protesi, appunto, verso il consumo del territorio, calpestandone valori e vocazioni. Tutto rigorosamente secondo la tradizione locale, foriera della non-città che vediamo.

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