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Coronavirus: in quale contesto può ricominciare la Fase 2?
Scritto da lametino9 Pubblicato in Pino Gullà© RIPRODUZIONE RISERVATA
Da qualche giorno è iniziata la Fase 2; l’Italia sta gradualmente uscendo dalle misure di contenimento (lockdown) a causa del coronavirus; si sono rimesse in moto alcune attività; altre riapriranno successivamente. Su IL Sole 24 Ore del 7 maggio scorso c’è la lista delle università con le date di riapertura; le scuole riapriranno a settembre con l’addio al compagno di banco; scrutini ed esami si sono salvati in qualche modo. Un’estate al mare con gli ombrelloni distanziati. Il 15 giugno riapriranno cinema e teatri; sale convegni e discoteche dovrebbero restare chiusi; sempre nello stesso mese riprenderanno i campionati di calcio di serie A e B e di altri sport. È partita, con i dovuti accorgimenti, una buona parte dell’industria, dell’artigianato e del commercio. Perplessità, speranza, fiducia, malcontento. Sentimenti contrastanti tra gli operatori. Buone notizie dall’Unione Europea: arriveranno in Italia tanti miliardi; si spera al più presto. Protagonisti sia della Fase 1 che della Fase 2 appena iniziata il personale medico e paramedico, italiano e straniero, le organizzazioni di volontariato, le Forze dell’Ordine, l’Esercito, gli Alpini ed altri: esempi di altruismo con spirito di abnegazione. Eppure in questo periodo, problematico e complesso, di pandemia planetaria è continuata certa politica strumentale; non perde occasione per stare davanti alle telecamere guadagnandosi “il prestigioso attestato” di politica spettacolo; i nostri politici si lasciano intervistare con le librerie di casa dietro le spalle. Quanto leggono! Nonostante i libri a portata di mano, non riescono a trovare la buona politica. Forse in quelle librerie ordinate e bene inquadrate ci potrebbero essere possibili soluzioni: la ricerca andrebbe fatta nei testi di sociologia politica, di economia, di storia delle istituzioni; strumenti utili per affrontare o tentare di porre rimedio alle dannose conseguenze del coronavirus; anche la letteratura, la filosofia e la scienza avrebbero pertinenza con le problematiche della crisi che stiamo vivendo.
Le riprese fatte dalle tv mi hanno fatto ricordare i titoli di alcuni testi. Ho interrotto per un attimo la scrittura, ho girato lo sguardo verso la mia disordinata libreria e ho preso un libro edito nel febbraio del 2018 (la prima edizione), ben prima che scoppiasse il finimondo virale: Utopia sostenibile di Enrico Giovannini, editori Laterza. L’autore è stato ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali nel Governo Letta. Tanto per periodizzare la storia politica recente, nella parentesi tra il populismo mediatico televisivo berlusconiano e quello del web di oggi. Docente di Statistica economica all’Università di Roma Tor Vergata e Public Management alla LUISS, Giovannini ha fondato l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile ed è membro della Commissione sul futuro del lavoro dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Utopia Sostenibile è un ossimoro, almeno per il sottoscritto. Per l’autore no, come ha dichiarato in un’intervista: “Potrebbe sembrare un ossimoro, ma non lo è. Il concetto di utopia è utilizzato in contrapposizione alla “retrotopia” immaginata da Zygmunt Bauman nel suo libro”. Sullo studioso polacco ha relazionato il professore Giuseppe Gembillo nel seminario del 2014 della Scuola di Alta Formazione “Francesco Fiorentino”. Di fatto nella risposta al giornalista, Giovannini ha ribadito quanto scritto nella introduzione: “Nel suo ultimo libro Retrotopia, Zygmunt Bauman analizza la tendenza, di fronte all’aumento dell’incertezza del futuro, a sognare il ritorno all’antico…”. Ho preso anche il volume postumo del sociologo e filosofo, autore, tra l’altro, di Modernità Liquida; Retrotopia sta a sottolineare il contrario dell’Utopia di Tommaso Moro, nato a Londra da famiglia di origine italiana e vissuto tra il’400 e il ‘500; umanista e politico, già canonizzato da Pio XI nel 1935, è stato proclamato Patrono degli statisti e dei politici (sicuramente della BUONA POLITICA) il 31 ottobre del 2000 da Giovanni Paolo II. Uno stralcio dell’Istanza inviata al Papa per la proclamazione: “La sua attività culturale va dallo studio dell’inglese, del latino, al greco, dalla filosofia, specie politica, alla teologia …”. L’opera di Thomas More, una sorta di romanzo filosofico, pubblicato nel 1516 in latino e strutturato sul modello della Repubblica di Platone, tiene presente il neoplatonismo; racconta un viaggio immaginario di Raffaele Itlodeo, in una repubblica ideale, nell’isola di Utopia, rimasta sconosciuta, dove il viaggiatore esprime le sue idee filosofiche e politiche. A dire il vero, per bocca di Raffaele Itlodeo Tommaso Moro sostiene le sue utopie. Non mancano le novità rispetto agli ordinamenti del tempo. Per brevità un solo passaggio: “… giustifico Platone, e meno mi sorprende il suo disdegno di dar leggi a popoli che si rifiutavano a spartire per legge tutti i beni fra tutti ugualmente. Era facile antivedere a quell’uomo sapientissimo che la sola ed unica via alla salvezza dello Stato è d’imporre l’uguaglianza” (Critica alla proprietà privata).
Mentre Tommaso Moro è alla ricerca del nuovo in un luogo, Zygmunt Bauman mette in evidenza il rivolgerci ad un passato rassicurante, considerato il futuro incerto nella prospettiva odierna. Così Bauman ne l’Introduzione. L’età della nostalgia del suo ultimo libro: “A partire da Moro, le aspettative di felicità dell’uomo sono state sempre legate ad un determinato topos (un luogo stabilito, una polis, una grande città, uno Stato sovrano, tutti retti da un sovrano saggio e benevolo): ma una volta sganciate e slegate da qualsiasi topos, (…) adesso tocca a loro essere negate da ciò che avevano coraggiosamente e quasi vittoriosamente cercato di negare. Dalla doppia negazione dell’utopia in stile Tommaso Moro (prima risorta e poi negata) affiorano oggi retrotopie: visioni situate nel passato perduto/rubato/abbandonato ma non ancora morto, e non - come la loro progenitrice due volte rimossa- legate al futuro non ancora nato…” (pp. XIV-XV). Sia in Utopia Sostenibile che in Retrotopia, edito nel 2017, viene citato Papa Bergoglio. Giovannini nell’introduzione: “Così come poche persone ricordano che l’Enciclica Laudato si’ fu pubblicata a maggio del 2015, pochi mesi prima della firma dell’Agenda 2030 [dell’ONU], proprio al fine di esercitare una pressione” (p. IX). Ancora nella penultima pagina: “Papa Francesco (…) si richiama alla necessità di un’ecologia integrale in grado di tenere insieme l’ecosistema e quello che ho chiamato sociosistema” (p. 157). E Bauman nelle ultime pagine di Retrotopia: “La risposta più convincente (…) l’ho trovata nel discorso di Papa Francesco (…) (attualmente l’unica personalità pubblica dotata di autorità significativa su scala planetaria che abbia abbastanza coraggio e determinazione da sollevare e affrontare a viso aperto simili questioni) il 6 maggio 2016 quando gli è stato conferito il premio europeo Carlo Magno. (…) L’intenzione di fondo del messaggio di Papa Francesco è di trasferire le sorti della coabitazione, della solidarietà e della collaborazione pacifica tra gli uomini dall’ambito vago e oscuro della grande politica (…) nelle strade, nelle officine, nelle scuole e negli uffici pubblici…” (pp. 166-167). Nemo propheta in patria (dentro la Città del Vaticano e fuori nelle chiese conservatrici americane) si direbbe a proposito di Bergoglio: criticato dalla Chiesa cattolica tradizionalista; stimato da intellettuali di alto livello perché sensibile alle problematiche economiche, sociali e ambientali del mondo contemporaneo.
Quasi mezzo secolo fa, nel 1972, il rapporto del Club di Roma The Limits to Grouth (I Limiti dello Sviluppo): “…alcuni esperti del Massachusetts Istitute of Technology (Mit), basandosi sulla teoria dei sistemi e sui modelli disponibili dell’epoca (…) indicavano che (…) intorno alla metà del XXI secolo si sarebbe determinato un declino improvviso e incontrollabile della popolazione e della capacità economica [del mondo]” (pp.5-6). Altre date e tappe intermedie fino ad arrivare al 25 settembre 2015: “…i capi di Stato e di Governo dei 193 Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite hanno riconosciuto l’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo e, sottoscrivendo l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, si sono impegnati a salvare il mondo (anche loro!)” (p. VIII). Sono 17 gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Una frase, in apertura, del documento: “Siamo decisi a liberare la razza umana dalla tirannia della povertà e vogliamo guarire e proteggere il nostro pianeta” (p.36). Le considerazioni di Giovannini sugli obiettivi: “Personalmente credo sia uno splendido modo di sintetizzare le aspirazioni ad un mondo diverso” (p. 37). L’autore si rende conto che si tratta di utopia e gli ipercritici la possono considerare operazione di facciata di alcuni Paesi che hanno firmato la dichiarazione. E’ una utopia che bisogna rendere sostenibile. Intanto, sostiene Giovannini nella dichiarazione “si parla di totale uguaglianza di genere, sottoscritta dai Paesi nei quali essa non solo non è praticata, ma è anche vietata per legge” (p. 38). Poi Paesi con regimi dittatoriali hanno firmato un documento in cui “si parla di democrazia come fattore essenziale di sviluppo” (p. 38). I 17 obiettivi: “Sconfiggere la povertà; sconfiggere la fame; salute e benessere; istruzione di qualità; parità di genere; acqua pulita e servizi igienico-sanitari; energia pulita e accessibile; buona occupazione e crescita economica; innovazione e infrastrutture; ridurre le disuguaglianze; città e comunità sostenibili; consumo e produzione responsabili; lotta contro il cambiamento climatico; flora e fauna acquatica; flora e fauna terrestre; pace, giustizia e istituzioni solide; partnership [rapporto societario] per gli obiettivi” (p.40). Utopia, utopia, utopia, come si evince dalle scritte sulle icone. E però l’attuazione dell’ High-level Political Forum on Sustainable Development (Hlpf), il Forum Politico di Alto Livello sullo Sviluppo Sostenibile, un organismo dell’Onu a cui partecipano tutti i Paesi aderenti alle Nazioni Unite, monitora ogni anno sotto “l’egida del Comitato Economico e Sociale” (rappresentanti della società civile e ministri dei vari governi) e con appuntamento quadriennale “sotto l’egida dell’Assemblea Generale” (Capi di Stato e di Governo). Valutano i risultati sulla base di 240 indicatori statistici. Ogni Paese dovrà definire una sua agenda per il raggiungimento degli obiettivi attraverso la tecnologia.
Per quanto riguarda l‘Italia “è stata rafforzata la legge sulla cooperazione internazionale e il documento triennale di programmazione e di indirizzo della politica di cooperazione allo sviluppo è stato modellato sull’agenda 2030” (dal resoconto della presentazione italiana). Necessario un cambiamento di mentalità per gestire il processo; importante la “partecipazione dal basso”; imprese, associazioni, singoli cittadini devono sentirsi partecipi di questa spinta verso lo sviluppo sostenibile. Giovannini sottolinea questo aspetto a pagina 44: “Si tratta di una sfida nella sfida (…) esistono interessi diversi e spesso contrastanti (…) le autorità politiche da sole [non possono] gestire il cambiamento. Devono, quindi, modificarsi anche le strategie di business delle imprese, le scelte di consumo degli individui e delle famiglie (…) la miriade di organizzazioni non profit devono trovare forme nuove di collaborazione e interazione…”. La partecipazione comprende le istituzioni del centro e della periferia attraverso i governi nazionali, regionali e territoriali. Notevole successo, forse inaspettato, hanno ottenuto le tre edizioni del Festival dello sviluppo sostenibile; hanno visto partecipazione e sensibilità diffusa a tutti i livelli della società. Tutto ciò si può considerare una verifica concreta? L’Utopia sostenibile si può realizzare?