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Il titolo del pezzo è stato preso dal primo capitolo di Licenziare i padreterni. L’Italia tradita dalla Casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, edito da Rizzoli, pubblicato nel 2011, attualissimo soprattutto sulla politica politicante del nostro Paese, salvaguardando i rappresentanti di buone pratiche democratiche, <<tanti parlamentari e amministratori perbene e generosi>> che si distinguono per impegno e dedizione. Sulla seconda di copertina il male della politica italiana: “I politici politicanti italiani, quelli che un liberale cristallino come Luigi Einaudi attaccò scrivendo <<licenziare i padreterni>>, sono sordi. Non riescono a capire. Non riescono a vedere, chiusi nel loro fortilizio autoreferenziale”. Nelle prime pagine trova posto la letteratura con un brano del romanzo Il ventre di Napoli di Matilde Serao, sul personale politico, scritto <<in tre epoche diverse>> a partire dal 1884: “Vi sono dei cattolici che sono italianissimi; vi sono degli anticlericali che sono credenti; vi sono dei democratici che sono imperialisti; vi sono dei liberali che restaurerebbero la pena di morte; vi sono dei repubblicani autoritari e assolutisti; vi sono dei socialisti che adorano il re; vi sono dei radicali perfettamente monarchici”. <<Impasto di incoerenze, malafede, inciuci e opportunismo>>. Un identikit sui politicanti con molti tratti comuni simili al populismo del Terzo Millennio. La candidata al Nobel per la letteratura così chiosava: “Non voglio ladri, io, al Comune. (…) Non voglio, al Comune, né affaristi, né compari di affaristi, né rappresentanti di affaristi, né amici degli amici di affaristi” (pp.15-16).
Di seguito leggendo si incontra Luigi Einaudi che diventerà il secondo Presidente della Repubblica italiana; dice la sua in modo tranchant su alcuni esponenti della classe politica italiana del primo dopoguerra: “A Roma padroneggia un piccolo gruppo di padreterni. (…) Bisogna licenziare questi padreterni orgogliosi” (pp. 16-17). Si riferiva a personaggi famosi che si studiano sui libri di storia. Ma non faceva di tutta l’erba un fascio: “Poteva mettere nel mazzo della sua invettiva senatori come Benedetto Croce o Giustino Fortunato con i quali avrebbe poi firmato il Manifesto degli intellettuali antifascisti o Giovanni Verga o lo stesso Luigi Albertini che era anche il direttore del Corriere della Sera sul quale pubblicava l’articolo di cui parliamo?” (p.18).
Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo riportano il giudizio di Eugenio Scalfari: <<La casta politica […] esisteva da molto prima>> e, a proposito, riferisce <<i discorsi politici di Marco Minghetti, quelli di Silvio Spaventa, quelli di Ruggero Bonghi>> per ritrovare le stesse critiche. Scalfari ricorda ancora Einaudi per la sua durezza dei discorsi sul potere finanziario. Come se fosse oggi: “Dietro la presenza delle società anonime e al di sopra della inerte massa di piccoli risparmiatori sta la ristretta brigata dei pochi grandi finanzieri e dei pochi grandi industriali i quali tengono di fatto il potere direttamente o attraverso delegati controllano l’immensa schiera delle società industriali, mercantili, marittime che costituiscono la clientela delle banche e ad esse si connettono” (p.19). Gli autori di Licenziare i padreterni insistono sulla cattiva politica del nostro Paese: “Un male molto antico da far risalire almeno allo scandalo della Manifattura Tabacchi del 1868” (p.20). A tal riguardo si ricorda che il deputato Cristiano Lobbia, venne distrutto dalla <<macchina del fango>> perché denunciava il malaffare. Nelle pagine 137, 138 e 139 vengono raccontate le vicende di alcuni politici nostrani. E il finale del libro ci aiuta ad orientarci nelle scelte future: “Serve una svolta. Che riconosca, ovvio, il diritto di ciascuno a governarsi e assumersi le proprie responsabilità. Ma con paletti rigidi. Il prezzo di tanti reucci, principi, e ducetti decisi a ingraziarsi la plebe non ce lo possiamo permettere” (p. 172). Insomma, una buona lettura in vista dei prossimi appuntamenti elettorali.