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Ha perfettamente ragione il nuovo governatore calabrese a pretendere una rigorosa ristrutturazione dell’apparato burocratico regionale, il quale, sino ad ora, resistendo le identiche modalità di assunzione di dirigenti e personale che avrebbe dovuto essere altamente qualificato, solo per meriti politici e clientelari sotto qualsiasi governo da trent’anni in poi alla regione, ha contribuito enormemente al disastro economico e finanziario della nostra terra. Specie poi quando la politica ha abdicato alla burocrazia.
Mario Oliverio sta riportando la politica a occupare il posto che le compete, motivo per il quale l’elettore lo ha votato, perché infatti, l’enorme astensione dal voto che si è verificato in Calabria, in misura più massiccia che non nelle contemporanee elezione in Emilia, si spiega non solo con la disperazione che avvinghia il calabrese ma anche con la sfiducia nel delegare chi dovrebbe rappresentare il cittadino, ritenuto, non tanto corruttibile, perché questo è fisiologico in politica, ma incapace di svolgere il ruolo per il quale è stato delegato Mario Oliverio. Non sta avendo fretta a nominare il resto della squadra assessoriale (sta bene la fine di marzo) perché in questo momento non c’è bisogno della presenza di tutti gli assessori previsti quanto di non perdere tempo a fare piazza pulita e pulizia profonda tra Dipartimenti, burocrati non indispensabili e comunque non idonei, Fondazioni e altre camarille che in anni e anni di malgoverno regionale, assistenziale e clientelare, hanno prosciugato le casse con l’unico obbiettivo di acquisire il consenso da parte di ogni nuovo consigliere regionale fresco di nomina, preoccupato esclusivamente di crearsi un gregge elettorale ma con il risultato di lasciare una pesante eredità, composta di assunzioni fasulle e improduttive, di società, associazioni, fondazione via dicendo.
Infine, governatore, preoccupati di creare le premesse per una nuova e sana gestione dei fondi comunitari, non spesi o spesi male, nel solito modo clientelare, oltre che per incapacità congenita del personale professionale dell’Ente, nominato con il solito modo perverso politico-clientelare.