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Salvatore Failla e Fausto Piano, i due tecnici rapiti e uccisi in Libia sono tra le ultime vittime in un Paese, ormai fuori controllo. Uccisi da raffiche di mitra durane il trasferimento in macchina, probabilmente, per mano di criminali comuni o in uno scontro a fuoco tra milizie. Filippo Calcagno e Gino Policardo, i loro compagni di lavoro e di sventura, salvi per caso perché lasciati dai rapitori nella prigione da dove poi sono riusciti a fuggire. La tragica vicenda ha ancora molti punti oscuri. Sono i nostri lutti di oggi come quelli di ieri. Allo stesso modo ci appartengono i lutti degli altri. Si piangono i nostri morti e quelli altrui. Africani, Mediorientali, Europei ed Extraeuropei. Tecnici, giornalisti, soldati, diplomatici, studiosi, bambini, giovani e anziani. Senza contare le conseguenze umanitarie di popolazioni che fuggono dalle zone di guerra mettendo in crisi un’Europa impreparata all’accoglienza e all’integrazione di centinaia di migliaia di profughi. Da una parte abbiamo visto l’immagine di una sala parto improvvisata davanti ad una tenda e una creatura che nasce in mezzo al fango, lavata con acqua fredda; dall’altra abbiamo letto i recenti risultati elettorali in Germania che esprimono razzismo difensivo, paura e xenofobia.
La situazione odierna è il prodotto delle guerre regionali dopo le decolonizzazione, il risultato di un neocolonialismo economico, neoliberista e globalizzato che ha determinato sul pianeta notevoli differenze sociali, conflitti etnici ed interventi predatori messi in atto dai Paesi più industrializzati in combutta con le loro classi dirigenti. Sulla Libia Barack Obama lo ha ammesso: è stato un errore intervenire nel 2011; e non sono mancate le critiche nei confronti di Nicolas Sarkozy e David Cameron per non aver portato a termine la missione intrapresa, soprattutto politicamente; hanno appoggiato militarmente la “Primavera Araba”, sfilandosi entrambi molto presto, senza avviare il dopo; non hanno mosso un dito per concretizzare diplomaticamente le condizioni di un nuovo equilibrio economico, sociale e politico. Tuttora non riusciamo a trovare una logica spiegazione a tale comportamento. Perché non si è proposto un potere democratico credibile ed autorevole? Il Paese, non più del Rais, si è frantumato e nel vuoto di potere sono diventati protagonisti i governi deboli di Tripoli, Tobruk, l’Isis, Stati interessati confinanti (es. l’Egitto) e non confinanti (es. Qatar), gruppi jihadisti e criminali comuni i quali ultimi fanno per lo più rapimenti economici.
E’ una situazione complessa e si fa fatica a interpretarla in maniera completa. Proviamo a comprenderne qualche aspetto facendo riferimento ad esperti del mondo arabo come Tarek Megerisi, Mattia Toaldo, Cinzia Bianco (originaria di Crotone). Nel febbraio del 2015, quando vennero decapitati 21 migranti dall’Isis, il nostro ministro della Difesa annunciò alla stampa un imminente intervento, ma successivamente Renzi mise un freno richiamandosi alla necessità di un mandato Onu e della eventuale richiesta da parte del governo nazionale libico. I punti di vista differenti, interventismo e diplomazia, sono presenti pure in diversi Stati europei. E’ prioritaria una strategia politica, iniziata con il dialogo portato avanti dal primo delegato Onu, lo spagnolo Bernardino Leòn a cui è succeduto il tedesco Martin Kobler. Ma perché sia completata è necessario un governo libico di unità nazionale. In tal caso pare sia stato proposto un intervento multinazionale coordinato dall’Italia. Tempo fa alcuni giornali già avevano scritto di sostegno militare italiano al futuro governo libico. Si era parlato di 5 mila soldati italiani e di migliaia messe a disposizione da altri Stati europei.
Una notizia comparsa qualche giorno fa potrebbe rappresentare una svolta. Così battevano le agenzie: “Entra in funzione in Libia il governo di unità nazionale”, proclamato dal Consiglio presidenziale. Ma il condizionale è d’obbligo. Virgolettiamo l’ultima parte della notizia come l’abbiamo letta su Rai News: “La proclamazione del Consiglio presidenziale lascia numerose zone d’ombra in assenza di un voto di fiducia formale”. Se nei prossimi giorni ci sarà questo voto legittimante, allora l’Italia, con un mandato Onu e la richiesta del governo nazionale libico, potrebbe avere un ruolo decisivo come forza di pace favorendo una tregua e incanalando la voglia di partecipazione politica dei frammentati gruppi libici con i seguenti obiettivi: ricostruzione nazionale, governabilità e possibili strategie di sviluppo. Si può fare se consideriamo che due anni fa il popolo libico era per l’unità. Bisogna mettere in atto processi politici unitari. Restiamo in attesa di un governo di unità nazionale legittimato dal voto di fiducia del Parlamento libico. E soltanto dopo sarà possibile una “Primavera Araba” in Libia più lungimirante di quella passata.