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Il dibattito avviato recentemente dall'assessore regionale Tallini ha messo in risalto la necessità di realizzare la città metropolitana Catanzarolamezia, sintesi dell'attuale sistema urbano dell'area istmica, quale condizione di equilibrio per l’intera Calabria. È, in sintesi, lo stesso auspicio su cui si fonda il Piano territoriale della provincia, elaborato da Pierluigi Cervellati, il cui contenuto sembra sconosciuto – e non è l'unico caso conclamato – agli attuali aspiranti alla guida di questa città tirrenica, tendenti in realtà a portare fuori dai confini comunali il “modello Lamezia”, pensando di poterlo applicare anche sul versante ionico dell'Istmo attraverso gli sperimentati trasversalismi che, tra l'altro, non sembra abbiano prodotto i risultati sperati. Innanzitutto, Lamezia non ha tutte le credenziali per proporsi con l'autorevolezza necessaria, come guida di un processo di costituzione di una rete tra Comuni né nell'ambito dell'Istmo né con riferimento al più modesto ambito Lametino-Reventino-Mancuso con l’obiettivo strategico di generare città, cioè organismi urbani funzionali ed efficienti. Pierluigi Cervellati con la sua riconosciuta autorevolezza ha scritto che per raggiungere “il traguardo di organizzarsi in rete di municipi, in area metropolitana, occorre il coinvolgimento – alla pari – di tutti i municipi esistenti. E non sarà facile se le due realtà urbane maggiori non inizieranno loro stessi a organizzarsi in una pluricentralità pianificata”. Princìpi sacrosanti. Ma qual è la realtà? La stessa Lamezia, nata dalla fusione di tre comuni, costituisce un esempio fallimentare di rete: non è una città, né è riuscita a pianificare la crescita. Tanto che sarebbe stato auspicabile rivedere, già da tempo, tutte le scelte urbanistiche del vecchio Programma di fabbricazione: le diverse zone industriali (DM), le zone turistico-residenziali (CT), l’area del Centro Direzionale (CD), e così via, che a più di quarant’anni dalla previsione non hanno avuto una corretta attuazione. Ci sarebbe stato bisogno, in pratica, di un tempestivo aggiornamento delle previsioni urbanistiche, per mettere la pianificazione al passo con i tempi. Un esempio fra tutti: l’area dell’ex Centro Direzionale avrebbe potuto accogliere tutte le iniziative commerciali di iniziativa privata, poi sorte, in un ambito delicatissimo dal punto di vista paesaggistico e ambientale, nel vicino Comune di Maida. La possibile realizzazione di centri commerciali nell’ex Centro direzionale avrebbe consentito la salvaguardia giuridica dei diritti edilizi acquisiti e una più corretta allocazione di funzioni terziarie/commerciali di livello provinciale e regionale, cogliendo importanti obiettivi: la riqualificazione di una parte importante della periferia urbana con iniziative private “governate”, il rafforzamento del ruolo commerciale di Lamezia (ereditato dall’ex Comune di Nicastro), il contenimento del consumo di suolo agricolo, la conversione di una destinazione tramontata a una destinazione più rispondente alle domande della contemporaneità.
Il tempo perso andava recuperato: “Lamezia – scriveva Cervellati – dovrebbe ritrovare le città perdute prima di connettersi ai centri limitrofi e quindi procedere per organizzare un territorio, una città metropolitana, una rete di municipi”. Ma si sa, l’urbanistica contemporanea non è in grado di prevedere, ma è costretta soltanto a registrare le cose già realizzate per interessi non collettivi come dimostrano i numerosi episodi edilizi molto discutibili. Poi – il caso di Lamezia lo ha dimostrato nel tempo – quale futuro sindaco è disposto a pagare con il dissenso dei propri elettori il postulato di Cervellati di “non mangiare” altro territorio, oppure che l’identità di un territorio si manifesta nel rapporto con gli altri Comuni? Altre domande possono chiarire meglio il concetto: il Patto per lo sviluppo dell'area di Lamezia – con il lungo elenco di magnifiche opere e progressive (la nuova aerostazione, il collegamento tra aeroporto e stazione ferroviaria, la metropolitana di superficie, il nodo intermodale e la piattaforma logistica in area ex-Sir, ecc.) che avrebbero dovuto prefigurare il “rinascimento locale”, con l'impiego di investimenti cospicui derivanti da risorse pubbliche/europee e da risorse private – è stato concepito dalla rete di Comuni del Lametino? Se Catanzaro si pre-occupa di Soverato, per consolidare il rapporto con il suo Circondario, Lamezia ha previsto nel Patto per lo sviluppo un'opera condivisa, ad esempio, con Serrastretta? È stata l’alta politica di Lamezia a proporre motu proprio la revisione degli ambiti paesaggistici del Qtrp coinvolgendo Soveria Mannelli, Nocera Terinese, ecc.? Il Piano strutturale comunale forse si propone con attenzione rispetto alle esigenze di crescita del “suo” Circondario? Certamente è più facile proporre trasversalismi: l'unico prodotto che Lamezia può esportare, inquinando le reti di Comuni e piangendo sulle proprie incapacità e, ancora oggi, sulla capacità di Ernesto Pucci.