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Da anni Roberto Galullo, giornalista de “Il Sole 24 Ore”, dedica particolare attenzione a Lamezia, capitale mancata della Calabria, ma di fatto città del capitale dove si decidono sorti politiche, economiche, massoniche, affaristiche e mafiose. Oggi questo intreccio appare più evidente, quasi come un decennio fa, quando Lamezia non era soltanto ciò che descrive Gianluca Ferraris in Gioco sporco (Baldini Castoldi Dalai, Milano 2011): una città altamente inquinata dalla mafia propriamente detta, in cui, nei primissimi anni di questo secolo, l’inaugurazione del Funny Bingo ha registrato la trionfale presenza di amministratori, che “avevano tagliato felici il nastro prima di accomodarsi ai tavoli per una partita dimostrativa in favore di telecamera”. A margine dell'inchiesta Perseo è stato persino messo in evidenza come a Lamezia la mafia di fatto agisce, non nell'ambito dell'edilizia abusiva come gli esponenti dell'antimafia delle parole vorrebbero far intendere, ma nell'ambito dell'edilizia regolare, in lottizzazioni convenzionate e nelle privilegiate zone “F”, in cui vengono canalizzati investimenti cospicui, fonte di redditività “pulita”. In ordine d’importanza, rispetto a questi fenomeni, il potere giudiziario amministrativo ha una responsabilità rilevante, unica, soprattutto per le collusioni massoniche che lo caratterizzano, su cui esiste un'ampia letteratura, relegando in posizione subordinata il ruolo istituzionale dei Comuni in materia di programmazione territoriale: “spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano l'assetto e l'utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico”, questo ricorda l'art. 13 del d. lgs 267/2000 e s.m.i. Ma il territorio di Lamezia da tempo è anche al centro dell'attenzione di iniziative economiche che tentano di surrogare la tradizionale incapacità politica di far assumere al territorio una direzionalità regionale: dopo il “caso Ginepri” (costato un cospicuo risarcimento da parte del Comune alla società Immobiliare Lamezia srl) sono stati molti i tentativi di offerte urbanistiche spontanee, passando dalla proposta per l'area termale dell'Agensud per finire al Borgo Antico. Da allora ad oggi una sola costante: l'aleggiare sul territorio di quegli stessi dominus della mediocre politica lametina che dagli anni sessanta continuano a costituire la vera jattura della città. Dalla lettura approfondita dell'ultima sentenza all'ordine del giorno emergono elementi utili alla riflessione.
Il soggetto promotore del Borgo Antico presenta, l'1 agosto 2002 (mese delle ricorrenze urbanistiche più importanti), il progetto denominato Borgo Antico. La sequenza delle date è indicativa delle sinergie istituzionali che si mettono in moto. L'anno domini è il 2002: la politica locale apre i propri orizzonti allo sviluppo del territorio facendo assurgere via del Progresso a terreno di scontro delle faide al suo interno (il clima favorevole instaurato successivamente anche dalla Commissione straordinaria in tema di sviluppo del territorio è ben dimostrato dai trasferimenti di proprietà che si registrano dal 2002 al 2005 nelle immediate adiacenze); la legge urbanistica regionale è la n.19 di aprile; nel mese di maggio viene richiesto il certificato di destinazione urbanistica dell'area; un primo atto di compravendita dell'area, che registra il passaggio da Giacinto Cosentino a favore di Simone Maraini, è del 18 giugno; il successivo passaggio dell'area agricola al soggetto promotore del Borgo Antico per il prezzo di 4.308.000 euro è del 23 luglio (per un prezzo unitario superiore ai 21 euro a mq corrisposti recentemente dal Comune per l'acquisizione dell'area edificabile per la realizzazione dell'adiacente Palazzetto dello Sport); una settimana dopo l'acquisto del terreno con atto pubblico viene presentato il progetto dell'intervento edilizio a dimostrazione dell'esistenza di concrete garanzie politico-amministrative per la valorizzazione delle aree di località Stretto.
Il progetto viene esaminato dallo Sportello unico per le attività produttive che rinvia la definizione della procedura alla valutazione preliminare di una Conferenza di servizi interni al Comune, la quale a sua volta in data 15 aprile 2003 dichiara sia l'inesistenza dei presupposti per l'accoglimento della proposta ai sensi dell'art. 5 del dpr 447/'98 che l'inesistenza di “elementi di opportunità per aderire alla proposta di variante” ai sensi dell'art. 14 della legge regionale 19/2002, decidendo di trasmettere l'esito delle considerazioni conclusive alla Commissione Straordinaria per le determinazioni di competenza del Consiglio Comunale. Da qui - stante il silenzio della predetta Commissione – il consequenziale provvedimento di diniego n. 16 del 20 maggio 2003 (peraltro tardivo come stigmatizza indirettamente lo stesso Tar), poi annullato sulla base di assunti di dubbia veridicità e della “debolezza” amministrativa comunale volontaria: l'assunto che il Consiglio comunale (cioè la Commissione straordinaria protempore) non sia stato investito; l'assunto dell'inesistenza di “aree” destinate ad impianti produttivi con Piano attuativo pubblico (area per insediamenti produttivi “Rotoli”) o private (area produttiva a nord del torrente Cantagalli). Peraltro, come accertato dall'Ufficio comunale competente, non risultano richieste preventive al Comune circa “la disponibilità di aree per la realizzazione dell'intervento proposto”. Anzi – come evidenziato al Direttore generale comunale nell'aprile 2004 – nel primo procedimento presso il Tribunale amministrativo, il ricorrente esibisce una nota del Settore Urbanistica del giugno 2003 indirizzata all'Asicat, il cui contenuto triangolarmente viene reso noto il 18 luglio 2003 al soggetto promotore del Borgo Antico dall'Asicat su sua richiesta (datata 3 luglio 2003) specificando la “non riscontrabilità” di “lotti” (non, invece, di “aree” come stabiliva il dpr) d'immediata disponibilità nell'ambito del Piano regolatore comunale alla data del 31 luglio 2002 (giorno precedente alla presentazione del progetto al Comune). Su queste basi documentali il Tribunale amministrativo regionale costruisce la prima sentenza di annullamento 2671/2003. Nel buio totale di questa vicenda c'è solo un dato chiaro: la cronologia dei fatti evidenzia l'esistenza di strutture burocratiche regionali efficientissime a dispetto dei soliti luoghi comuni. Ma altre domande potrebbero meglio definire lo scenario in cui si svolge l'iter all'interno delle strutture burocratiche pubbliche. La Commissione straordinaria – durante la cui gestione sono stati rilasciati permessi a costruire di dubbia legittimità anche a soggetti in contiguità con esponenti delle organizzazioni criminali, disattendendo anche raccomandazioni esplicite della Prefettura – ha difeso adeguatamente la posizione del Comune? La Commissione straordinaria si è costituita in tutte le sedi giurisdizionali? Chi ha coadiuvato la difesa legale dal punto di vista tecnico durante la gestione commissariale? Sull'argomento s’intravede un'ampia competenza, piuttosto che della Procura della Corte dei conti, da parte della Procura della Repubblica che potrebbe aprire scenari utili per salvare il Comune dalla bancarotta.