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Il dominio aragonese in Calabria rispetto a quello angioino segnò dei rilevanti mutamenti nella struttura sociale ed economica, in particolare ciò avvenne per quel che concerne il maggiore potere che ebbero i baroni sia nei riguardi della Corona sia verso gli abitanti del feudo e, nello stesso periodo, si verificò la crescita lenta e numericamente limitata di un ceto borghese cittadino, costituito per lo più da artigiani, mercanti, clerici e pochi professionisti come: medici, notai, esattori delle tasse e così via. Il passo successivo delinea in modo chiaro gli aspetti più notevoli del nuovo assetto che si verificò rispetto a quello precedente: “Nel sessantennio aragonese (1442- 1503), la storia della Calabria s’intesse nel vario proporsi e comporsi di tre forze: autorità regia, classe media emergente, alta e media feudalità. Al di sopra di queste, la possibilità di un ruolo nella riacquistata unità del regno di Napoli, il raggio mediterraneo d’interessi politici ed economici e di flussi culturali che muove la dinastia fra Spagna e Italia, lascia tracce sulla regione, a livello di memorie figurative e di impulsi vitalizzanti. I sei decenni che vedono gli Aragonesi eredi della grave crisi – politica, economica, demografica – da cui per oltre un secolo era stata investita la Calabria nell’età precedente […] lasciano avvertire la volontà d’avvio d’un nuovo corso nella vita economica e sociale e il primo, sia pur fragile ed episodico, coagularsi d’una civiltà urbana. È quasi il segno d’una incipiente mutazione rispetto all’alto e pieno Medioevo nel loro compatto contesto feudale: il prendere corpo, accanto al latifondismo agrario e al proletariato rurale, d’un ceto medio di professionisti, artigiani, mercanti: l’affermarsi d’una volontà di autonomia nei centri già demanializzati o appena defeudalizzati; la formazione di Ordinamenti – Capitoli, Statuti- nei quali, l’Universitas civium [ Termini latini: l’insieme dei cittadini; tale struttura organizzativa territoriale corrisponde, grosso modo, agli odierni Comuni, N.d.R.] va organizzando le sue possibilità di crescita urbana, là dove risorse produttive e nascente coscienza civica lo consentano” (Emilia Zinzi, Calabria. Insediamento e Trasformazioni Territoriali dal V al XV Secolo, in ‘Storia della Calabria Medievale – Culture Arti Tecniche’, Gangemi Editore, Roma- Reggio Cal., 1999, p.70).
Il mutamento di dinastia nel Regno di Napoli ebbe delle conseguenze particolari in tutto il suo territorio, per evidenziare in modo specifico la situazione calabrese si riporta il testo seguente dove vengono messi in risalto gli aspetti più peculiari degli intricati rapporti tra Corona, baroni e popolo: “…proprio quando nella prima metà del secolo XV, le casate calabresi ebbero raggiunto il massimo splendore per potenza e prestigio, ecco apparire sulla scena gli Aragonesi con sovrani di grande statura, decisi a mettere ordine nello sconquassato Regno. Le vicende assunsero perciò un particolare carattere e la Calabria attraversò uno dei periodi più drammatici e interessanti della sua travagliata storia. Dal disordinato turbine degli eventi del periodo angioino si passò ad un nuovo corso: sovrani di complessa personalità, come il Magnanimo e Ferrante; blandizie e feroci rappresaglie; tradimenti, saccheggi e stragi; avventurieri e briganti; casate illustri che tramontano ed altre che sorgono con efferato genocidio; congiure di baroni e guerra tra baroni e feudatari. Nell’incalzare degli eventi che si susseguono a ritmo serrato, nel duello tra Corona e baronaggio, la popolazione calabrese si inserisce come protagonista con un nuovo volto: alle disordinate lotte tra popolo e nobiltà, alla perenne irrequietezza del periodo angioino segue un nuovo periodo durante il quale la popolazione dispersa torna nei centri abitati, potenzia i Comuni e si sforza di strappare alla feudalità quei privilegi ed immunità che non era riuscito ad ottenere con la forza. Durante la seconda metà del XV secolo, i Comuni calabresi conobbero perciò una notevole fioritura e con la feudalità costituirono una vigorosa forza che diede un carattere di grande vitalità e vivacità alla storia della regione. La feudalità nel Quattrocento era, come s’è detto, in piena ascesa e, al di fuori di ogni significato politico, costituiva una valida forza della vita economica. Nell’antagonismo tra baroni ed università la monarchia si inserì con forza ed astuzia, con la tenace volontà di piegare gli interessi particolari al bene supremo della monarchia, nell’affannosa ricerca di conferire forza e prestigio al potere regio, dopo le vicende della monarchia angioina. Feudalità, Comuni e Monarchia, durante il periodo aragonese acquistarono dunque una fisionomia particolare: dal caos all’anarchia, ciascuno di essi emerge con novella energia, con connotati ben precisi onde i precedenti fermenti della vita sociale ed economica della regione si sviluppano con veemenza” (Giuseppe Brasacchio, Storia Economica della Calabria- Dalla Dominazione Aragonese -1442- al Viceregno- 1734-, Volume Terzo, Edizioni EffeEmme, Chiaravalle Centrale, 1977, pp.6-7).Per entrare in modo più approfondito nel merito dei rapporti tra: monarchia, baroni e popolo si riporta il brano che segue il quale offre una sintesi della problematica affrontata e nello stesso tempo chiarisce che ogni realtà locale aveva una situazione particolare, che potrebbe essere studiata caso per caso: “Invano si cercherebbe, nell’esaminare le vicende dei comuni calabresi, di trovare una certa uniformità, ma balza piuttosto evidente che la vita vi si svolge all’insegna dei contrasti tra nobiltà e popolo e bene spesso tra gli stessi comun vicini. Sia laddove predomina il popolo, come a Catanzaro, o la nobiltà, come a Cosenza, e anche laddove vige un precario equilibrio di forze come a Crotone e a Reggio, i contrasti caratterizzano la vita cittadina…” ( Giuseppe Brasacchio, Ibidem, p.70 ). Il testo sotto riportato offre un quadro sintetico della realtà regionale differenziata tra centri feudali e quelli demaniali: “L’habitat ha i suoi capisaldi in due diverse realtà socio-territoriali: capoluoghi di grandi possessi fondiari o comuni demaniali. Fra i primi Acconia e Maida nella contea di Nicastro, Terranova in quella dei Caracciolo di Gerace, Bisignano nella signoria dei Ruffo e poi dei Sanseverino, Taverna e Catanzaro pre-demaniali. Fra i secondi, hanno risalto Cosenza, Crotone e Catanzaro defeudalizzate dopo la sconfitta del Centelles [Grande feudatario che si era ribellato sia contro il re Alfonso il Magnanimo sia contro il suo successore Ferrante, N.d.R.].
Liberi comuni minori, ma di costante attività produttiva e mercantile, sono Tropea ed Amantea; Cirò nell’ex marchesato di Crotone, Le Castella, Santa Severina e Cropani acquistano autonomia e vitalità per i loro fertili hinterland e, nei casi, di Crotone e Le Castella per l’interesse mercantile e militare, derivante dalla loro posizione sulla costa ionica” (Emilia Zinzi, op.cit., pp.71- 72). L’economia della Calabria nel periodo aragonese era prevalentemente agricola e pastorale, ma ebbe una certa animazione anche dal punto di vista artigianale e commerciale e ciò si può desumere dalle numerose fiere che si tenevano in diverse località della regione; inoltre c’erano rapporti commerciali di un certo rilievo non solo all’interno del Regno e del resto d’Italia, ma anche con altre aree geografiche del Mediterraneo, da come si può inferire dal passo successivo: ”Nel medesimo 1434 altre transazioni finanziarie attuava Urbano de Beccutis, che si era stabilito appunto in Cosenza, dove lavorerà anche il figlio Antonio. La città divenne, infatti, la piazza creditizia del mondo calabrese (vi si fissarono nel secondo Quattrocento anche alcuni genovesi, quali Giannantonio Spinola e Agostino Adorno), come Trani lo era per l’area marittima pugliese. […] era Crotone invece il maggiore emporio commerciale della regione. Vi si trovavano mercanti d’ogni provenienza; e vi istituirono un loro consolato nel 1455 anche i Ragusei [Abitanti della città dalmata Ragusa, la Dubrovnik attuale, in serbo-croato, N.d.R.]. Ma erano naturalmente i Veneziani a dominarvi la scena per numero di commessi, per continuità di impegno, per entità degli affari. Crotone veniva giudicata un eccellente caricatoio del grano. E lì si imbarcava infatti, con destinazione Venezia, il grano calabrese acquistato dai proprietari terrieri calabresi” (Alfonso Leone, I Mercanti Forestieri in Calabria e la Struttura Economica della Regione, in ‘La Calabria Medievale-I Quadri Generali’, Gangemi Editore, Roma- Reggio Cal., 2001, pp. 531-532). Da quanto sopra si può dedurre che durante il periodo aragonese la regione fu sconvolta da lotte di natura politiche e sociali, ma gradualmente, pur prevalendo i rapporti feudali, si andò delineando una presenza sempre più significativa dei Comuni demaniali; per quanto riguarda l’economia restò prevalentemente agricolo-pastorale, ma anche l’artigianato ed il commercio cominciavano a svolgervi un ruolo significativo.