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Tutto dice "stai in casa". Il tempo, l’umore, gli impegni. Ma so che in casa non ci starò. C'è un anello, nelle nostre montagne, che da tempo non ha notizie di noi. Alle 8,30 lasciamo le macchine a Granci di Nocera Terinese. Allerta meteo. I mortali – come Omero chiamava gli uomini - sono rintanati. Questo è un giorno numinoso, come scrive Rudolf Otto nel suo libro sul sacro. E’ il giorno degli dei immortali. E’ sempre un rischio invadere il recinto del sacro. Vaghiamo nella faggeta, umida e muscosa, di questo versante del Monte Mancuso. Sotto una minacciosa trapunta di nubi scure. Acque scrosciano ovunque. L'alta valle del Torrente Rivale è una raggiera d'argento tintinnante. Campanule fucsia. Una Salamandra pezzata. Umida, gommosa. Si lascia manipolare, ammirare, ritrarre. La rampa ci porta allo scoperto, su Pietra dell'Orso, in vista della costa tirrenica. Il vento ci investe furente. Come volesse trapassare i nostri corpi. E mutarci il sangue. Un piccolo uragano. Quel che volevamo! Sul crinale. Nuovamente esposti e inermi, alla piatta sommità di Pietra del Corvo.
Poi su, nella faggeta e nell'abetina. Ho fitte alla caviglia sinistra, che non mi spiego in alcun modo. Dovrei fermarmi, tornare indietro. Ma non intendo rinunciare. E non voglio che i miei compagni perdano il privilegio di questa irruzione fra gli dei: sarò io a pagare il rischio, oggi, per tutti. Gli alberi ondeggiano paurosamente, fin quasi a schiantarsi. Intorno è una moria di rami e fronde. Nella nebbia. Il vento la trascina a ondate continue, vorticose. Tronchi interamente avvolti di muschi. Senza fiato, tra le navate della foresta. Non è un sentiero della terra. E’ il sentiero dello spirito. Attoniti. Muti. Mi vengono in mente le parole di William James in "Le varie forme dell'esperienza religiosa". Incipit della lezione terza, "La realtà dell'invisibile": "[l'esperienza religiosa] consiste nel credere all'esistenza di un ordine invisibile e che il nostro bene supremo si trova nell'adattarci armoniosamente ad esso". Qui, in questo tempio senza pareti, il visibile apre gli occhi sull'invisibile, come diceva Anassagora. La parte più difficile del cammino. Il dolore alla caviglia è lancinante. Mi trascino. A memoria, cerco un percorso che ci porti alle Timpe di Manca. Sulle carte non esistono. I locali le hanno nascoste ai cartografi. Eppure hanno nomi evocatori: Timpa delle Fate, Timpa Mancusa, Timpa di Simia. Ricordo un passaggio in alto, nello spacco di una piccola rupe. Lo trovo. Attraversiamo il confine del mondo fatato delle rupi. Ci sovrastano colossi di roccia, festonati di muschi, felci, anfratti, alberi. Un impasto di grigi, verdi, marroni, rossi. Nel cerchio del sacro. Vertigine. Stupore. Rispondiamo col silenzio all'incantesimo del vento. Potremmo restare qui, per sempre. E come Dafne, trasformarci in alberi.