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Facevo difficoltà, stamane, a rammentare. Mi capita sempre così. Il cammino, nel mentre lo compio, fa germinare parole che racchiudono significati profondi. Che spesso neanch’io comprendo chiaramente in quel momento. Poi il cammino vive della sua essenza, che è azione e contemplazione. E le parole volano via nell’aria impalpabile. Ho sempre avuto pudore a registrare lì per lì quei pensieri. Eppure gli antichi viaggiatori avevano i loro diari. E lì annotavano e disegnavano persino. Oggi sono troppo impegnato a vivere. E così le parole prendono forma ma poi, subito, mutano o scompaiono. Come quelle nubi favolose che rantolano ad est. E si gonfiano minacciose. Per poi fuggire, come prese dalla fretta, e andare a sciogliere le loro uve, come direbbe Pablo Neruda, su Morano ancora addormentato. Noi invece passeggiamo nel “cuore” del Pollino, come lo chiama Giorgio Braschi. Siamo partiti molto tardi, insieme ad altre comitive numerose, dall’accesso più famoso, il Colle dell’Impiso. Ho incontrato tante persone care. Con alcune di esse non ci eravamo mai conosciuti personalmente ma siamo in contatto da anni via social. Perché amiamo la stessa cosa: camminare in montagna. E’ questa la nostra narrazione. Per questo usiamo i social. E’ questo il legame invisibile che ci stringe, pur vivendo così lontani. La foresta di faggi è l’ombra della nostra psiche. La luce, invece, compare sui prati del Colle Gaudolino. L’acqua di Spezzavummule è il liquido segreto che scorre nelle vene della Terra Madre e scende ad irrorare dall’interno i nostri corpi. Uno scambio di umori, fra la terra e noi, di cui nessuno comprende il significato. Il profumo dei fiori è un altro scambio, un’altra relazione. La fatica del cammino è metafora del nostro essere nel mondo, come direbbe, forse, Heidegger, se potesse vederci sudare lungo i costoni assolati. Un grosso rospo smarrito fra le pietre è il nostro destino di eterni erranti. Due poiane nel cielo ci ricordano che la realtà è fatta anche di ciò che non puoi vedere, che non puoi penetrare, non puoi imprigionare. I ciclopici pini loricati stanno, da secoli, a conservare il legame fra la terra e il cielo. Ci sono persone – ed anche gli alberi, le rocce, gli animali, sono persone, anzi “omini” come dice Dersù Uzalà nel film di Akira Kurosawa – che incontri perché così deve essere. Non stupirti! E’ scritto, da qualche parte dell’universo. Sono persone che recano doni.