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Di FILIPPO VELTRI
Si puo’ puntare ad una narrazione normale della Calabria? Questo il tema di un incontro non banale, dotato di ritmo e a tratti accorato, svoltosi sere fa a Reggio Calabria, a Palazzo Foti, organizzato dall'associazione culturale Senza Nulla A Pretendere, con la partecipazione del movimento Slega la Calabria. Ne parlo qui perche’ non vorrei che si mandasse dispersa la possibilita’ di avviare un dibattito, che considero centrale e fondamentale per la Calabria: l’immagine, la sua immagine, i pregiudizi vecchi e nuovi, cosa fare per cercare di uscire da una strettoia in cui nosi stessi e gli altri hanno finito col metterci.
L’occasione è stata offerta dalla presentazione di una nuova edizione del libro ‘Razza maledetta’, di Vito Teti, ordinario di etnologia all’Universita’ della Calabria ed uno dei piu’ raffinati intellettuali del nostro tempo calabrese. Si è inteso toccare, facendolo da dentro, le innumerevoli sfaccettature offerte dall’annosa ‘questione meridionale’, cui il libro di Teti contribuisce a percorrere sentieri solitamente poco tracciati, nella riproposizione di saggi storici sul pregiudizio antimeridionale (Lombroso e Niceforo, ma poi anche Napoleone Colaianni).
In un alternarsi di voci, cui è seguito una corposa partecipazione del pubblico, si è provato a rispondere a quesiti cui è stato difficile da sempre dare risposte: dall’intellettualmente onesta ammissione di un divario civico tra nord e sud d’Italia, fino al ricercare le responsabilità di tale gap che alcuni, specie negli ultimi lustri, e maggiormente oggi, fanno risalire al percorso di unificazione nazionale con i suoi ‘derivati’. Un divario che forse nasce e si consolida per nostra stessa opera, perché incapaci di fare aggregazione culturale, ma capaci invece di esportare le nostre eccellenze in un nord che ha il merito di porre nelle condizioni di operare chi, venendo dal Meridione, intende far valere la propria preparazione.
Ma sono stati gli intellettuali meridionali e calabresi in particolare ad essere stati messi nel mirino delle critiche, nell’ambito di un ragionamento che non ha affatto eluso i nodi della riproposizione stanca e stantia di una immagine della Calabria e del sud stereotipata: guardiamo, per ultimo, a come i media nazionali hanno trattato le recenti sciagure in Liguria e Toscana e come, invece, l’ ancora più recente alluvione nel catanzarese, non abbia riscosso il medesimo interesse giornalistico. Ed i morti di Messina siano stati addirittura di serie B (se non di C) rispetto a quelli delle Cinque Terre.
Questo richiama, dunque, l’esigenza di quella ‘narrazione normale’ dei fatti calabri, di cui gli stessi calabresi devono farsi interpreti, nonché la presa di coscienza, amara, di una cosi’ detta societa’ civile incapace di mettersi dinanzi a quella politica, che resta pero’ il perno di tutte le inefficienze. Una classe politica, quella calabrese, che manifesta al suo interno tutti quei problemi che ne fanno un’entità ormai ‘derelitta’ (questa sì, non la Calabria). Vito Teti, ha ricordato gli albori politici della Lega, la lotta verbale fatta di slogan fino ad allora sconosciuti allo scenario politico nazionale, slogan da ‘non si affitta ai meridionali’, fino ad allora rimasti stampati solo nella memoria di quegli uomini e donne del sud che ambivano un’occasione, una carta da giocarsi. Un momento storico, quello dei primi anni ’90 (non a caso la prima edizione del libro è del 1993), da cui in poi nulla ha più suscitato indignazione.
E’ stata l’occasione per fare una critica netta a un certo tipo di intellettualità calabrese, ‘ammesso che ci sia’ (in molti hanno fatto eco). Un’intellettualità che, e noi crediamo invece ve ne siano ancora di tracce, ha il dovere morale oggi più di ieri, di farsi interprete di questo percorso di crescita del Mezzogiorno e della Calabria specialmente; un’intellettualità che sia parte civica attiva, che alle provocazioni di un certo sterile intellettualismo leghista sappia rispondere con fierezza delle proprie identità, ma senza che queste siano motivo per ancorarsi e dilatare ancora le speranze di crescita. O peggio cadano nel rancorismo, nel provincialismo, nel vittimismo: tre angoli da cui sfuggire per lanciare appunto, con serieta’ e rigore, l’approccio alla narrazione normale della Calabria, che poi significa narrazione di quel che accade senza sconti a nessuno, ma anche di quel che accade e che non viene raccontato da nessuno. La via e’ stretta ma si puo’ tentare di percorrerla.
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