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A metà agosto si era raggiunto l’accordo per accogliere in 5 Paesi (Spagna, Portogallo, Francia, Germania, Lussemburgo) i 141 migranti a bordo della nave Aquarius. Sarebbe stato l’inizio della svolta per una maggiore sostenibilità della pressione migratoria, secondo quanto auspicato al primo punto delle conclusioni del vertice di Bruxelles: “Un approccio globale alla migrazione”. Ma, trascorsa una settimana, si era registrata una situazione di stallo o di attesa per quanto riguarda il pattugliatore Diciotti della Guardia costiera italiana attraccato a Catania con 177 migranti, a cui era stato negato il permesso di sbarco in attesa delle decisioni degli Stati membri dell’UE sulla ripartizione. Nei giorni seguenti permesso di scendere solo per 27 minori. Per gli altri continuava l’attesa. Reazioni immediate, turbolenze, polemiche contrasti tra Governo e organizzazioni internazionali (UE e ONU); scontro tra il ministro Salvini e il presidente della Camera Fico che aveva chiesto di far sbarcare tutti. Dimissioni di Stefano Vella, presidente dell’AIFA (Agenzia italiana del farmaco), perché non era tutelata la salute a bordo. Di Maio ha minacciato il blocco dei contributi all’Ue senza il ricollocamento dei migranti. Per tutta risposta la maggioranza dei Paesi cosiddetti volenterosi si è opposta alla ripartizione nella riunione tecnica a Bruxelles. Il primo ministro Conte ha proposto il veto al bilancio Ue; inoltre sarà bocciata la ratifica del Ceta (il trattato di libero scambio tra Canada ed Europa).
Ore concitate al porto di Catania: indagini delle procure, manifestazioni di solidarietà per i migranti, pressioni dell’ONU attraverso i suoi rappresentanti. Salvini vorrebbe adottare il modello australiano “No way”: chi arriva illegalmente non sbarca. Hot spot (i centri per identificare i migranti) nei Paesi di partenza. La minoranza su posizioni umanitarie. Martina, segretario del Pd, ha evidenziato una contraddizione palese: una nave italiana, la Diciotti, bloccata in un porto del proprio Paese. Inaspettatamente è arrivata l’autorizzazione per lo sbarco di 16 migranti per problemi di salute. Fascicolo aperto dalla procura di Agrigento; il ministro Salvini e Piantedosi, capogabinetto dell’Interno, indagati per abuso d’ufficio, arresto illegale, sequestro di persona. Ma dopo 10 giorni sono scesi tutti i migranti a bordo della Diciotti. Finalmente! L’Albania è pronta ad accoglierne 20, altrettanti, se non di più, andrebbero in Irlanda; per il resto se ne farà carico la Chiesa cattolica. Ecco i veri volenterosi!
Nei giorni scorsi Elisabetta Trenta, ministro della Difesa, si è recata in Libia per incontrare il primo ministro Fayez Serraj. Ha dichiarato che è importante stoppare il traffico di esseri umani, gestito dalle organizzazioni criminali, come già sottolineato in occasione del vertice di Bruxelles. Ha ragione. I media riservano tanto spazio a barconi, Ong, motovedette e Guardie costiere e tanto poco interesse alla questione delinquenziale africana, e non solo, della tratta dei migranti. Un business internazionale miliardario. Ho accennato, negli articoli passati, ai quattrini a palate incassati dalle mafie del Continente nero, da dove si originano le tragedie umane per poi moltiplicarsi. Ce l’ha rivelato su Limes (giugno 2017) Nancy Porsia, giornalista sempre presente in Libia e aggiornata sul traffico. In un suo articolo afferma che la criminalità libica è subalterna “alle mafie nigeriana e sudanese”. In sostanza “i libici sono fornitori di servizi (…): la maggior parte dei migranti che passa per la rotta libica [paga il trafficante] nigeriano, o sudanese, o etiope o eritreo di base in Sudan, (…). Sono i nigeriani e i sudanesi che pagano i libici, e la competenza di questi ultimi inizia e finisce con il tratto di strada o mare che sono chiamati a far percorrere ai migranti”. Le televisioni di tutto il mondo hanno documentato le aste di migranti.
Gli affari delle organizzazioni criminali africane arrivano fino in Italia e coinvolgono quelle in loco. Un passaggio dell’audizione del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, alla Commissione Difesa del Senato a proposito di Cosa Nostra nella gestione dei migranti sulla terraferma: “Ho inoltre contezza che le organizzazioni mafiose appetiscono i denari erogati per la gestione dei migranti in Italia. La mafia tenta di intercettarle”. Dei 114 mila migranti arrivati in Italia nel 2017, 18 mila sono nigeriani gestiti da misteriose organizzazioni (quasi sette) come la Black Axe e gli Aiye presenti a Castelvolturno e nel quartiere palermitano di Ballarò, “partner o antagonisti dei sistemi mafiosi locali”; droga e prostituzione tra i loro interessi. Alessio Iocchi della redazione di Limes sulla mafia nigeriana: “Il racket della malavita nigeriana (…) pare essersi adattato alle richieste di mercato informale italiano: prostituzione, caporalato, spaccio (…), profittando della connivenza con le mafie locali alle quali (…), versa una tassa per il territorio”. A Benin City (città della Nigeria) tutto ruota attorno all’emigrazione. Alle donne nigeriane viene fornito la documentazione per l’emigrazione in Europa dove saranno costrette a prostituirsi. Piero Messina, già citato in altri articoli online, sostiene: “In Libia il traffico di migranti e la tratta di esseri umani sono network integrati con altre attività come il contrabbando d’armi, la droga e l’oro”. La stessa FBI statunitense ha indagato su questi nuovi sistemi criminali. Così Piero Messina: “Nel rapporto sulla Libia stilato ad aprile [del 2017] dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si possono trovare nomi e cognomi dei responsabili della tragedia dei migranti in Libia”. La Procura internazionale dell’Aja sta conducendo un’indagine sui crimini contro l’umanità commessi in Libia in cui sono coinvolti trafficanti, milizie e autorità locali. Secondo gli analisti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella Libia occidentale giungono i migranti in partenza dal Niger (Stato confinante a sud con la Nigeria); per arrivare fin lì è necessario attraversare i territori controllati dai Tubu e dai Tuareg. Mentre trafficanti eritrei, etiopici e somali gestiscono la rotta orientale. Sono reti intricate da cui bisogna passare per entrare nel suolo libico. Si tratta quasi sempre di reti instabili. I rischi sono altissimi, soprattutto quando si affronta il deserto.
Il vertice di Bruxelles al punto 8 ha messo nero su bianco la questione dei finanziamenti per lo sviluppo a medio termine e degli investimenti privati africani ed europei; particolare attenzione dovrebbe essere prestata alla istruzione, alla salute, alla innovazione. In sostanza gli investimenti avrebbero lo scopo di creare dei posti di lavoro nei Paesi di origine e di transito. Sperando anche in processi democratici positivi in alcuni Paesi africani, dovrebbe esserci un futuro con rotte legali e politiche interne agli Stati più rispettose dei diritti umani. Per adesso solo un sogno difficile da realizzare in un Continente che nei prossimi decenni raddoppierà la popolazione: secondo gli studiosi da un miliardo e 200 milioni si arriverà a 2 miliardi e mezzo. Ma bisogna sempre sperare nel futuro; a volte i sogni si realizzano. Tuttavia il presente ci dice altro: carestie, conflitti ed esplosione demografica causano le attuali migrazioni che sono da considerarsi epocali. Aspettando il cosiddetto piano Marshall per l’Africa, il presente è problematico, contraddittorio, ambiguo. Alcuni esempi. Secondo Andrea De Giorgio, giornalista che vive in Mali dal 2012, autore di Altre Afriche, gli aiuti al Niger da parte di alcuni Stati dell’Ue hanno il duplice obiettivo di bloccare i migranti e, nel contempo, impadronirsi delle risorse del Paese. Ad Agadez, centro importante nigerino, si vive in particolare di emigrazione e malaffare. Per il giornalista, i Paesi occidentali, in apparenza sono coesi contro l’emigrazione irregolare, in realtà vogliono controllare il territorio. Solo alcuni esempi di una situazione generale complessa. Bisognerebbe realisticamente aumentare i rimpatri irregolari e favorire gli ingressi regolari in Europa. Tenere bloccate le coste libiche non risolve la grave situazione che si è venuta a creare. Sarebbe opportuno andare nei Paesi d’origine migratoria (v. iniziativa del ministro Trenta) e fare accordi: “In cambio di procedure consolidate per i rimpatri vengano garantiti visti di lavoro regolari”.
Il virgolettato è di Mattia Toaldo, analista dell’European Council on Foreign Relation (ECFR) di Londra: Consiglio europeo delle relazioni estere, un gruppo di esperti paneuropeo. Ha espresso le sue idee propositive in articoli e interviste al tempo del Minniti Compact. Secondo me sono ancora attuali e concrete per affrontare il problema alla radice cercando soluzioni passando “da un sistema di immigrazione formalmente chiuso e in realtà aperto alle irregolarità (…) ad un sistema più sensato, basato sull’idea che si possano proteggere allo stesso tempo migranti e noi italiani ed europei. Serve una porta nel muro: da cui esca chi non ha diritto a restare ma entrino quelli di cui la fortezza ha bisogno”. Nel contempo far partire gli aiuti allo sviluppo sotto il controllo dell’UE. Il cosiddetto Piano Marshall per l’Africa dovrebbe mettersi in moto da subito per creare anche le condizioni del restare in Africa. Da subito, da subito! Potrebbero aumentare tensioni e conflittualità. La situazione migratoria rischia di diventare fuori controllo.