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Timpa del Diavolo, Pietra Stritta: sperso nel vuoto vivo del mio universo
Scritto da lametino9 Pubblicato in Francesco Bevilacqua© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ci sono voluti più di trent’anni, per rispondere ad un richiamo. Una lenta, inesorabile opera di seduzione. Ogni volta che le ero di fronte, dal lato opposto della valle, ella mi osservava. Ed io ricambiavo, teneramente. Come un innamorato. La sua aura, come direbbe Elémire Zolla, mi attraeva disperatamente. Ma anche le sue forme. Obliqua e ricurva come una lama d’acciaio che si protende verso il cielo. Il suo tempio misterico celato nell’ombra. Sensuale, riversa sul suo letto d’erba e terra umida: così la vedo, la prima domenica dell’anno. E come i desideri più misteriosi, diviene improvvisamente un’urgenza. Potrei giungere sotto la sua dimora facilmente. Ma lei esige che il sole sia alto. Per far splendere le sue grazie. La Natura non ama farsi trovare in vestaglia, scrive Ralph Waldo Emerson. L’attrazione ha i suoi tempi: ho atteso tanto! L’incontro si compirà. Ed è necessario un lungo, faticoso rito. Porto a ramengo i miei amici per trovare un accesso da tutt’altra parte, ai piedi del borgo di Savuto di Cleto: nido d’aquila su una rupe a picco sulla valle. I luoghi sono così rinselvatichiti che il percorso che avevo tracciato sulle carte è impraticabile. Trovo un accesso verso Cozzo Inostra in corrispondenza di un paesaggio con rovine, che avrebbe incantato Goethe. Sullo sfondo le spire d’argento del fiume ed il mare. Nel caos fluttuante d’erba ed arbusti, una ripida pista di selvatici ci consente di salire verso il cielo. Come sospesi. Anche Urano è turbato. Sparge su Gea il suo seme di luce ed ombra, calore e gelo. Valichiamo la cima, attacchiamo la pendice di Timpa Piatta. È lì che mi si mostra nuovamente. E la fatica non basta a distogliermi dal suo sguardo. Una lunga diagonale ci conduce fra Timpa Piatta e Monte Rosario. Poi, quando la malia è al culmine, inizio ad inabissarmi verso lei. Sino a sfiorarle le spalle e le braccia. A lungo. Incredulo. Posseduto. Quando entro nel suo tempio, è un trasalimento. Il mio cammino vacilla. Si compie l’incontro a lungo atteso. Sulle pareti e in terra innumerevoli segni di devozione: coppelle piccole e grandi a forma di seni impressi sulla roccia; buchi che sostennero travi; indecifrabili impronte sulle volte; striature colorate; resti come di ingressi, scalinate, celle. E il tempo sospende la sua corsa. Torna indietro nei secoli, nei millenni. Percorre vie obliate, affascinanti, perigliose. Il rito è compiuto. La roccia trascende la precarietà umana. Lega spiriti, anime, esistenze. Evoca vite. Epifania litica: manifestazione del divino in forma di pietra. Dio prende forma. Lo spirito diviene materia. Come in trance, scendiamo sulla strada, attraversiamo il mondo dei vivi, sfiliamo fra i vichi del borgo, caliamo lungo la mulattiera che ci riconduce al punto di partenza. Il sole è calato. La luce ha abbandonato il tempio. L’amata ha coperto le sue grazie. A colui che è stato sedotto non resta che rammemorare: grato, pago, sperso nel vuoto vivo del suo universo.