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Società ed economia in Calabria durante la dominazione spagnola
Scritto da Lametino 5 Pubblicato in Francesco Vescio© RIPRODUZIONE RISERVATA
La dominazione spagnola nell’Italia meridionale continentale ebbe la durata di poco più di due secoli a partire dai primi anni del Cinquecento, succedendo a quella aragonese; in termini politico-istituzionale si passò dal Regno di Napoli al Viceregno, che venne a far parte integrante di un’entità politica che aveva immensi domini in Europa ed in America; nel presente scritto si cercherà di mettere in rilievo gli aspetti più significativi dei mutamenti sociali ed economici che si verificarono in Calabria nel periodo sopra indicato in conseguenza delle scelte politiche ed amministrative fatte dai monarchi spagnoli. Un primo cambiamento di notevole importanza si verificò nella struttura feudale della società calabrese: l’alta nobiltà perse potere nei confronti della monarchia spagnola rispetto a quello che aveva esercitato nel periodo aragonese; nel brano successivo viene messo in evidenza tale mutamento: “Quando, infatti, nel 1555, il principe di Bisignano è ridotto sulla difensiva non solo dai creditori dei suoi vassalli ma dagli stessi commissari regi, le cui vessazioni lo inducono a proibire l’incetta ed il contratto alla voce per evitare sperequazioni, o nel 1560 il conte di Nicastro deve protestare contro i medesimi commissari che insistono per lo sfratto degli abitanti da Serrastretta in quanto ricettacolo di banditi ciò significa che la latitudine di potere e di ‘buon governo ’consentita al baronaggio all’interno dei suoi feudi va rapidamente restringendosi, mentre correlativamente si estende l’ingerenza dello Stato nel campo sociale ed economico latamente inteso, al di là dei settori tradizionali del fisco e dell’ordine pubblico” (Raffaele Colapietro, La Calabria nel Cinquecento, in ‘ Storia della Calabria Moderna e Contemporanea – Il lungo periodo’, Gangemi Editore, Roma – Reggio Cal., 1992, p.165). Nonostante l’indebolimento nei confronti della monarchia, il baronaggio restò la forza dominante nella regione ed il suo potere fu, in molte occasioni, particolarmente oppressivo, per come indicato, nel testo seguente:
“Durante il viceregno tornarono in vigore i servigi personali ed altre prestazioni, i parangari [ Termine medievale che denota: le prestazioni personali gratuite che i vassalli dovevano ai loro signori, N.d.R. ], che pur sembravano essere tramontati durante il periodo aragonese. Le condizioni dei vassalli peggiorarono: l’uomo fu degradato a schiavo e considerato un bene sul quale il feudatario vantava diritti, onde gli era vietato uscire dal feudo e se si allontanava poteva essere rivendicato dal feudatario e costretto a tornare sotto la giurisdizione del barone […] Si instaurò così nel Regno un doppio fiscalismo, l’uno statale, l’altro feudale, ma entrambi vessatori e spesso contraddittori. Gli abusi feudali si disfrenarono ed i baroni scimmiottarono nei propri staterelli il sovrano: si imposero tasse in occasione di nascite dei rampolli baronali, sul consumo e trasporto delle merci, sui contratti, sugli animali; istituirono privative sui forni, sui trappeti, sulle cantine, sui terreni coltivati imposero terraggi [Il termine medievale sta a significare: difesa muraria consistente in un muraglione di terra, N.d.R.], decime e collette; sui terreni pascolativi, ancorché usurpati dal barone, fu imposta la fida [Contratto in cui si stabiliva il canone da pagare per il pascolo nella proprietà di un signore, N.d.R.] per il bestiame. Insomma non vi era attività sulla quale il barone non potesse vantare diritti […] (Giuseppe Brasacchio, Storia economica della Calabria – Dalla dominazione Aragonese – 1442 al Viceregno 1734, Edizioni Effe Emme, Chiaravalle Centrale, 1977, p.140). Per quanto concerne l’andamento dell’economia calabrese durante la dominazione spagnola, essa ha segnato un incremento notevole nel Cinquecento per come indicato nel brano successivo: “Più difficile a ricostruirsi e più complessa è la linea evolutiva dell’economia calabrese nel Cinquecento. Lo stato di guerra pressoché ininterrotto che si ebbe dal 1494 al 1528 non era utile a conferire slancio e operosità. Ma in seguito la pace e, soprattutto, la spinta demografica dovettero indubbiamente produrre i loro effetti. La rinnovata, larga disponibilità di uomini- che ormai neppure il flagello delle incursioni e delle razzie barbaresche poteva più intaccare -significava innanzitutto possibilità di una ripresa della lavorazione della terra su ampia scala. In particolare, il territorio del vecchio Marchesato di Crotone riacquistò, dal punto di vista della produzione cerealicola e del relativo commercio, gran parte della sua vecchia importanza [..] Ma il fatto dominante nella vita agricola calabrese del secolo XVI fu la potente espansione della produzione della seta. Ne abbiamo un indice indiretto, ma assai significativo, nell’aumento del reddito della gabella della seta che i Bisignano [Si tratta di una delle più importanti famiglie di feudatari della Calabria di allora, N. d. R.] avevano comprato da re Ferrante nel 1483: reddito che era ancora di circa 18mila ducati nel 1540 e che salì a una media di 45mila ducati nel quinquennio 1574-78 e di 55mila nel settennio 1581-1587” (Giuseppe Galasso, La Calabria Spagnola, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2012, pp. 181-182 ). Nel secolo successivo iniziò un lento declino della Spagna per un motivo economico: l’inflazione ed un altro diplomatico-militare: la guerra con le Province Unite e la Guerra dei Trent’Anni. Il Paese Iberico aveva goduto di un periodo di sviluppo economico, principalmente grazie alle risorse provenienti dalle sue colonie americane, ma tali risorse nel tempo tendevano a diminuire provocando una grave crisi economica; per esplicitare il primo problema si riporta il brano successivo:
“Nel decennio 1590-1600 l’importazione di metalli preziosi dalle colonie spagnole raggiunse la punta più alta, con 40 milioni di pesos [Il peso era la moneta spagnola, attualmente sostituita dall’euro, N.d.R.] Da allora cominciò una progressiva e costante diminuzione che provocò una generale depressione negli scambi tra le colonie e la madrepatria, l’oro e l’argento non furono sostituiti da altri prodotti, se non in misura modesta” (Rosario Villari, Mille Anni di Storia - Dalla città Medievale all’Unità dell’Europa, Laterza, Roma-Bari, 2000, p.226). Ma un altro fenomeno metteva in difficoltà l’economia della Spagna, essa importava molti beni per cui: “La Spagna versava all’estero l’oro e l’argento che riceveva dalle colonie, per acquistare manufatti e beni alimentari che non riusciva a produrre in misura sufficiente” (Rosario Villarri, Ibidem, p.229). Le conseguenze del secondo problema, sopra indicato, sono evidenziate nel testo successivo: “ …le risorse necessarie per la ripresa della guerra con le Province Unite e per la partecipazione alla guerra dei Trent’Anni furono trovate con espedienti di ogni genere e con una inaudita intensificazione del prelievo finanziario e umano dai domini italiani, soprattutto Napoli e Sicilia (Rosario Villari, Ibidem, p.238). In Calabria gli effetti della politica fiscale furono gravi e provocarono rivolte diffuse, per come si può inferire dal passo che si riporta di seguito: “Come si nota, i tentativi di vendita [Tali tentativi di vendita si riferiscono ai beni demaniali, N.d.R.] sono effettuati proprio negli anni in cui la crisi è al culmine e la monarchia cerca di reperire fondi per pagare le spese di guerra. E proprio dai territori così duramente colpiti, come i Casali di Cosenza, scoppierà la scintilla rivoluzionaria, addirittura precedente a quella della rivoluzione napoletana del 7 luglio 1647 [Si tratta della rivolta capeggiata da Masaniello, N.d.R.]. Dall’esame di tali questioni si nota che la situazione degli anni ’20 - ’40 è particolarmente instabile: dopo la terribile crisi finanziaria del 1622, la situazione monetaria tra il 1624 e il 1632 trova una certa stabilità, con un relativo rialzo tra il 1632 ed il 1640. Malgrado tale stabilità monetaria, gli anni cruciali della crisi economica meridionale sono proprio quelli tra il 1636 ed il 1646, quando si ha un’enorme pressione fiscale derivante dalla partecipazione del Regno alla guerra dei Trent’anni, soprattutto con armi e uomini” (Maria Sirago, La Calabria nel Seicento, in ‘Storia della Calabria…’, op.cit., p. 227). Due secoli di dominazione spagnola lasciarono la regione in condizioni economiche e sociali pessime principalmente a causa dei soprusi dei baroni e del fiscalismo regio di una grande potenza coinvolta in lunghi ed estenuanti conflitti con altri potenti Stati come la Francia e l’Impero Ottomano.