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La letteratura calabrese nel primo Ottocento: autori e testi
Scritto da lametino9 Pubblicato in Francesco Vescio© RIPRODUZIONE RISERVATA
La Calabria nel primo Ottocento vide l’alternarsi al governo della dinastia borbonica e di quella dei Napoleonidi: i re Giuseppe Bonaparte, fratello dell’Imperatore, e Gioacchino Murat, cognato dei primi due; tali repentini mutamenti dinastici ebbero notevoli influenze sulla vita sociale e culturale della regione e riflessi rilevanti anche nel campo letterario, come verrà esposto più particolarmente in seguito. Nel passo successivo viene delineato un quadro sintetico della storia regionale nei suoi aspetti più significativi: “Il decennio napoleonico, che ha inizio con il passaggio della Calabria a Napoleone (1806) e si conclude con la fucilazione di Murat (1815), riporta a capo delle amministrazioni comunali, delle cariche giudiziarie molti protagonisti della Repubblica napoletana del 1799. Abolita la feudalità, si nota un certo rinnovamento, un fervore di attività e di opere pubbliche. Il popolo resta avverso ai Francesi, il brigantaggio si diffonde in tutta la regione, feroci avventurieri e capi banda commettono atroci delitti che avranno risonanza nella letteratura romantica calabrese. In quel tempo, scrive uno storico, la Calabria non era né di Ferdinando né di Murat ma era in preda a guerra civile, incendi, saccheggi, violenze, vendette personali. Nel 1811 troviamo in Calabria la prima <<vendita>> dei Carbonari i quali poi si divideranno in borbonici e repubblicani. I moti del 1820-21 vedono i calabresi pronti alla nuova esperienza costituzionale e alla testa del popolo Guglielmo Pepe, Giuseppe Poerio. La successiva delusione crea un periodo di apparente tranquillità ma i patrioti operano in modo concreto e i fratelli Bandiera vengono in Calabria in seguito alle insurrezioni che si verificarono nel cosentino e che non si estesero a tutto il territorio. Già erano stati arrestati (1839) Benedetto Musolino e Luigi Settembrini, alla vigilia del 1848 abbiamo il moto reggino e del distretto di Gerace che si conclude con la fucilazione dei capi. Nel 1848 la Calabria si solleva ma i moti falliscono per la mancanza di guida unitaria e coerente, la reazione è feroce, i patrioti calabresi fuggono in esilio ma restano attivi e operosi, i legami degli esuli di Malta, Corfù, Londra, Marsiglia, Genova, Torino, etc., con i fratelli rimasti nella regione sono intensi. Nondimeno si può parlare, come fece il De Sanctis, di una <<lunga notte fino al ’60>>, quando Garibaldi riconquista all’Italia la Calabria. Assai importante fu l’abolizione della manomorta ecclesiastica (intorno al 1840) che consentì di espropriare e quotizzare terre abbandonate dal latifondo. Allo sviluppo dell’agricoltura concorsero le Reali società economiche sorte nel 1810 che introdussero macchine nuove, crearono scuole di agraria, svecchiarono i sistemi di coltivazione e in Calabria aiutarono la sostituzione dei vecchi frantoi per l’olio. Nella regione furono sviluppate le colture del cotone e del gelso che fornivano la materia prima per la produzione locale dei tessuti di seta e di cotone; inoltre furono prosciugate vaste zone paludose. Ma la Calabria continuò a restare senza strade, senza ferrovie, senza porti” (Antonio Piromalli, La Letteratura Calabrese, Guida Editori, Napoli, 1977, pp.135-136). Il sintetico quadro storico sopra esposto è intimamente connesso a tanti scritti , in prosa e in poesia, di numerosi letterati calabresi del periodo sopra indicato, per come viene esposto nel passo successivo: “Nell’Ottocento proprio la Calabria impersona la punta estrema del nostro romanticismo letterario. Un torbido gusto byroniano sommuove l’ispirazione delle novelle in versi del Mauro, dell’Arabia, del Miraglia, con le loro storie di eroi-briganti, di truci vendette, di cupe passioni, in cui si riflette idealizzata l’ansia libertaria delle plebi agricole. Su questo fondo di letteratura in gran parte velleitaria, emerge la figura singolare del prete Vincenzo Padula, il cui patriottismo risorgimentale è ancora tutto nutrito di ideologia illuminista e giansenista, interprete acuto a tratti delle esigenze di rivolta sociale della sua terra e affettuoso illustratore in prosa e in versi dei suoi costumi e dei suoi sentimenti più gelosi e segreti” (Natalino Sapegno, Tradizione Classica e Utopismo Religioso, in ‘Tuttitalia – Enciclopedia dell’Italia Antica e Moderna- Calabria’, Edizioni Sadea Sansoni, Firenze, 1963 pag. 42)
La profonda connessione tra esperienza risorgimentale e letteratura calabrese viene chiaramente esplicitata nel seguente brano: “Un nuovo respiro dilata la vita e la letteratura calabrese nell’età del prerisorgimento e del Risorgimento, secolari speranze sembrano trovare voce nell’esaltazione dei nuovi concetti popolari e nazionali […] Il movimento patriottico avvicina gli scrittori alle idee politiche; Francesco Scaglione, Saverio Vitari sul Calabrese, insieme con molti altri infondono al popolo sentimenti nazionali, Domenico Spanò-Bolani sulla Fata Morgana prepara gli animi alla riscossa, Saverio Albo e Nicola Tarsia cantano la libertà, Michele Bello di Ardore (1822-1847), autore di drammi e poeta, è fucilato per avere guidato il movimento insurrezionale di Gerace, per lo stesso motivo è fucilato Gaetano Ruffa di Bovalino (1822-1847). Il De Sanctis, con la sua acutezza e la sua sensibilità, colse e definì la nuova atmosfera culturale e ciò che è caratteristico nel romanticismo calabrese. In realtà, pur sopravvivendo forme del passato, residui classicistici che soffocavano l’ispirazione, con il romanticismo entrano nella letteratura e nella poesia altri personaggi: il patriota, l’esule, il brigante per amor di patria, per vendetta o per amore di giustizia sociale. Il cristianesimo romantico offre una tematica spirituale amplissima alla frustrazione dei vinti, alle speranze degli oppressi, ai propositi virili. La secolare desolazione dell’uomo, il <<planctus>> [ = lamento, gemito, il battersi il capo, il petto come espressione di dolorosa disperazione, N.d.R.] della Calabria trovano ragioni di speranza nell’azione a cui i tempi sospingono, miti nascenti da un fondamento reale assumono il posto delle utopie, le altre regioni italiane, la stessa Europa appaiono più vicine, il popolo ha maggiore consapevolezza di se stesso e acquista nuova fiducia. Anche le qualità naturali calabresi di fierezza e di ardimento si possono più francamente palesare riscattando la mortificazione a cui erano rimaste assoggettate nei secoli di profonda e avvilente servitù…” ( Antonio Piromalli, op.cit., pp.143-144 ).
Di seguito si riportano dei dati biografici degli autori presi in esame insieme a delle considerazioni e commenti di alcuni testi, che si riferiscono ai temi sopra trattati.
In relazione al carattere brutale e primitivo della figura del brigante si evidenziano delle note critiche e dei versi tratti dalla novella Il Bizzarro di Carlo Massinissa – Presterà ( Monteleone- l’attuale Vibo Valentia- 1816-1891): “ Con il poemetto Il Bizzarro ossia i masnadieri e i francesi in Italia (Napoli 1861) introduce nella letteratura italiana – poi verrà Giosué Carducci (1834-1907) con l’Inno a Satana- il tema del satanismo. E con questa operazione contribuisce a rendere possibile il contatto tra Romanticismo europeo e Romanticismo italiano, come Vincenzo Padula e Domenico Mauro. Nella storia del brigantaggio come si svolse in Calabria, il Bizzarro è realmente quel Francesco Moscato, che al servizio di Ferdinando IV, sbalzato dal trono, semina rovine e distruzioni tra le Serre e la Piana di Rosarno. Verrà ucciso dall’amante Nicolina Ricciardi il 20 gennaio 1811. Questa vita brigantesca accende la fantasia del Massinissa – Pristerà, dà tratti diabolici al Bizzarro. Il brigante, braccato dai soldati francesi, non volendo che il figlioletto, appena nato, viva sotto il dominio straniero dei francesi, “ […] furibondo il trasse// dalle braccia materne e orribilmente// gli fracassò le tenerelle membra// ad un tronco di quercia e diello in pasto al suo fiero mastino […]” (Pasquino Crupi, Sommario di Storia della Letteratura Calabrese per Insegnanti di Lingua Italiana all’Estero- Pofili 1”, International A M Edizioni, Reggio Calabria, 2002, pp.101-102).
Nel passo successivo tratto dal dramma di Vincenzo Padula (Acri 1819- 1893) Antonello, capobrigante calabrese, sono esplicitati alcuni dei motivi economico-sociali più cogenti del brigantaggio: “Sicché vorreste ripetere sulla mia persona la comica scena rappresentata in tutti i tempi dai galantuomini a danno dei briganti? Mi fate voi così semplice? Dopo aver servito alle vostre vendette a prezzo della mia coscienza, dovrei pure a quello della vita formar per voi di mia spontanea presentazione un titolo di merito, e soffrire che il governo dia di un tratto la forca a me, ed una medaglia di cavaliere a voi, […] che meritate la forca più di me? Io se dovessi farlo, non a voi, ma al Commissario Regio, mi presenterei a lui solo, capite? E vorrei dirgli: Signore, vi han detto che Antonello abbia commesso mille omicidi, e mille furti, e non è vero. Un sol nemico io mi ebbi, e lo spensi; né, facendo il brigante, la mia borsa n’è divenuta più pesa. Ah! Io ho ucciso per gli altri, io ho rubato per gli altri. Gira un po’ la Calabria, e in ogni terra e villaggio troverai uno, o due galantuomini, la cui vita è un delitto, la cui rapida fortuna è un arcano. La loro prepotenza crea i briganti, la loro avarizia li sostiene. Costoro che, cittadino onesto mi avrebbero calpestato, brigante mi hanno protetto. Ho cenato, ho dormito con loro; e per essi ho ucciso, per essi ho rubato. Di està percorrea la campagna, d’inverno mi recava in città nelle case migliori: colà buona tavola, colà buon letto, colà la mia druda; e venendovi per motivi di visita qualche generale, o colonnello, o altri, io dalla stanza dove mi stava appiattato ne sentivo i discorsi, e gli sciocchi disegni che meditavano per avermi in mano. Ad aprile ne uscivo, e col primo sequestro pagavo l’ospitalità ricevuta” (Pasquino Crupi, Sommario di Storia della Letteratura Calabrese per Insegnanti di Lingua Italiana all’Estero- Testi 2”, International A M Edizioni, Reggio Calabria, 2002, p.98).
Nello stesso periodo storico tanti scritti di autori diversi riguardavano temi di argomento patriottico, a mo’ d’esempio si riporta il sonetto S’IO POTESSI… di Domenico Mauro (San Demetrio Corone 1812- Firenze 1873): “S’io potessi volar simile al vento, //Su la patria ch’è serva io volerei;// E fedeli compagni al mio lamento// Le chiome dei suoi boschi agiterei. // Collo sdegno del liquido elemento //Qual soffio aquilonar mi mescerei; // E dell’italo reo lungo tormento // Tutte le rive ascoltatrici avrei// M’innalzerei colà dove si aggira// L’eterna danza dei Celesti, e anch’io, // Tolta in mano di un angiolo la lira, // Tal trarrei dalle corde un tintinnìo, //Come mi detta la pietade e l’ira, // Che Italia tornerebbe in mente a Dio//” (Pasquale Tuscano, Calabria, Editrice La Scuola, Brescia, 1986, p. 117). In base ai vari temi sopra esplicitati si potrebbe parlare anche di una letteratura calabrese socialmente, civilmente e politicamente impegnata.