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La Calabria dal Quarantotto alla vigilia dell’Unità
Scritto da lametino9 Pubblicato in Francesco Vescio© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il 1848 in Europa fu definito l’anno delle rivoluzioni per il fatto che in molti Stati per ragioni diverse scoppiarono moti insurrezionali finalizzati, per lo più, a mutare gli assetti istituzionali sanciti dal Congresso di Vienna (1815); tali eventi, iniziati a Palermo, ebbero delle ripercussioni molto turbolenti anche in tutto il Regno delle Due Sicilie come sarà esplicitato in modo più particolareggiato in seguito; nel presente scritto ci si soffermerà principalmente sugli eventi più ragguardevoli che si verificarono in Calabria nel periodo storico sopra indicato colti nella specificità regionale, ma da considerare profondamente connessi con quelli nazionali ed europei. Il brano successivo offre un sintetico ragguaglio degli avvenimenti più significativi: “Il 12 gennaio 1848, il popolo palermitano si levò in aperta rivolta contro il malgoverno di re Ferdinando II di Napoli. E nel giro di un mese altri tumulti scoppiarono nelle maggiori città italiane. Il 12 febbraio, in Francia, l’opposizione liberale al governo conservatore di Guizot, che aveva ridotto la maggioranza governativa alla Camera a soli 43 deputati, annunciò la propria intenzione di tenere un banchetto propagandistico. Poi, quando il governo preso dal panico proibì questo banchetto, il popolo di Parigi inscenò una vivace protesta e al tramonto alzò le barricate nelle strade dei quartieri operai. In questi due avvenimenti si riassumono i due diversi tipi di insurrezione popolare che entro l’anno avrebbero dato il via a tutta una serie di rivoluzioni europee. La maggior parte delle rivolte, in Germania, in Italia, Austria e Ungheria, assomigliavano a quella di Palermo – erano cioè insurrezioni popolari e nazionaliste contro un governo straniero e contro la dura politica di repressione di Metternich e dei suoi alleati. Viceversa, la rivoluzione svizzera e i tumulti inglesi e belgi assomigliavano a quanto era avvenuto in Francia- erano cioè proteste democratiche contro l’esclusivismo e le insufficienze dei governi borghesi per chiedere riforme sociali e politiche. Ma nonostante queste importanti differenze, le insurrezioni nacquero da un’unica e generale inquietudine, da un’ondata di malcontento e di esasperazione che in ogni paese assumeva forme diverse e si avviava verso un diverso destino. Politicamente, il suo maggior risultato fu la fine del dominio di Metternich e il rovesciamento del suo sistema che aveva prevalso fin dal 1815. Nel campo sociale ed economico, la sua conseguenza più importante fu invece la distruzione del feudalesimo in quasi tutta l’Europa orientale” (David Thomson, Storia dell’Europa Moderna - Vol. I – dalla Rivoluzione Francese al 1871, Feltrinelli, Milano, 1965, p. 183).
La Calabria fu coinvolta negli avvenimenti del Quarantotto nei termini descritti nel passo successivo: “In Calabria il movimento <<rivoluzionario>> del ’48 vide una partecipazione in più alto numero di contadini. Se il movimento del ’44 era solo di pochi borghesi […] e quello del ’47 aveva raggranellato solo un 44% di contadini (bracciali e vaticali), l’insurrezione del ’48, che ebbe per baricentro Cosenza, raccolse fra i suoi combattenti un numero maggiore, non di molto, ma maggiore. Il numero globale degli insorti nell’intera Calabria infatti da 1446 del ’47 raggiunse gli 8.000 nel ’48 (Visalli). Nelle votazioni per il Parlamento la Calabria si divise gli eletti liberali, in tutto diciassette, così: provincia di Cosenza 5, provincia di Catanzaro 7, provincia di Reggio 5. Essi raggiunsero Napoli un giorno prima dell’apertura del Parlamento fissata per il 15 maggio: si trattava di stabilire la formula del giuramento. Gli elementi ligi al Borbone fecero fallire la riunione. I liberali capirono il piano provocatorio e decisero di chiamare il popolo in piazza per l’indomani. Era il pretesto che la corte attendeva. Sui dimostranti si gettarono le truppe e quel sottoproletariato dei bassifondi che i confidenti di polizia riuscivano con un po’ di denaro ad eccitare. Numerosi furono gli uccisi, molte le devastazioni. La piazza tornò ad essere sgombra. L’assolutismo paternalistico del Borbone riprese a riaffermarsi e a placare la sua bestiale ira nel sangue delle repressioni. I processi contro gli antiborbonici delle varie province ebbero rapido sviluppo. Nelle tre province calabresi la <<gran corte criminale>> si abbandonò nei tre anni successivi ad un’estrema crudeltà. Definì <<anarchici>> i borghesi liberali, <<scellerati criminali gl’imputati, <<nefandezze>> i loro piani cospirativi, e irrorò condanne spaventose” (Enzo Misefari, Storia Sociale della Calabria – Popolo, Classi Dominanti, forme di Resistenza dagli inizi dell’Età Moderna al XIX Secolo, Jaca Book, Milano, 1973, pp. 263-264).
Un sintetico quadro economico e sociale della Regione viene delineato nel brano seguente: “In qualche misura la Calabria non era più la terra con pochi uomini di cui avevano scritto i riformatori di fine Settecento. Essa aveva partecipato – dal lato demografico come da quello produttivo – ai mutamenti intervenuti nel Regno dopo la grave crisi seguita alla Restaurazione. Regione eminentemente agricola, aveva per la sua parte beneficiato della rafforzata domanda internazionale di prodotti specializzati come olio, seta, agrumi. Il suo stesso gramo tessuto sociale si era rafforzato e dilatato, specie nei capoluoghi, nei borghi agricoli più cospicui e anche nei centri costieri addetti alla commercializzazione dei prodotti. Se l’accentuata pressione demografica sulla terra aveva compromesso aree prima destinate a bosco o al pascolo, essa, comunque, intrecciandosi con i più larghi profitti della borghesia fondiaria, aveva prodotto un rafforzamento dell’agricoltura specializzata […] La produzione serica calabrese, sebbene in crescita e in più forte rilancio rispetto alle altre regioni meridionali, era tuttavia ben lontana dalla quantità e dal tipo di quella lombarda o piemontese. Innestava fattori di novità e sosteneva soprattutto una consistente quota di occupazione femminile stagionale, ma non s’incrociava con un più generale cambiamento produttivo. Le attività industriali, domestiche e artigianali continuavano a rispondere a una domanda interna pur sempre debole e di prodotti grossolani; e si chiudevano nel giro paesano e nei mercati dei singoli distretti. Pelli, cuoi, saponi, mobili, sedie, cappelli, fiori artificiali, oggetti di ferro e rame, ceramiche, tutto quanto serviva alla grama vita della popolazione campagnola si produceva in una miriade di piccolissime << fabbriche >> locali, ciascuna rispondente a un ambito territoriale molto ristretto […] Al di là di questo, vi erano tuttavia due esempi di lavoro industriale accentrato, la salina di Lungro e le ferriere di Mongiana. L’ occupazione diretta non oltrepassava i 2000 operai, ma il tipo di produzione, specie a Mongiana, e il sistema di fabbrica li distingueva nettamente dal prevalente apparato artigianale e, per taluni versi, dal lavoro nelle filande […] In realtà il sistema produttivo, malgrado i forti vincoli imposti dal protezionismo borbonico, si era in qualche misura ampliato e meglio articolato. A parte i casi di Mongiana e di Lungro, si era affacciata una prima schiera d’imprenditori a cavallo tra la produzione e le attività di prima lavorazione dei prodotti specie tessili; e molti dei capitali investiti nel setificio, che affondava le sue radici nella campagna, venivano sovente da grandi e medi proprietari che avevano investito nell’agrumeto, nel vigneto, nelle culture orticole e nell’oliveto […].Da questo lato, la Calabria aveva beneficiato della lunga pace, della crescente domanda estera di prodotti agricoli specializzati e anche dell’aumentato consumo interno. Ma nello stesso tempo erano velocemente emersi vigorosi fattori di conflittualità interna e un contrasto profondo con il potere centrale. Nel complesso, fino al ’40 grande e media proprietà terriera, compresi gli imprenditori più dinamici, si erano allineati al riformismo borbonico, lo avevano anzi sostenuto, sebbene critici del sistema protezionistico che colpiva il settore agrario. Quell’alleanza però si era ben presto logorata e, dopo il ’48, rotta nei punti essenziali” ( Gaetano Cingari, Storia della Calabria dall’Unità ad Oggi, Editori Laterza, Roma-Bari, 1982, pp. 7-10, passim ). Dopo gli avvenimenti del Quarantotto mutò lentamente la prospettiva culturale e politica di tanti patrioti, per come indicato nel testo seguente: “ Pur nella caduta delle antiche speranze, c’è qualcosa di positivo nelle esperienze vissute dai calabresi esuli nel Regno di Sardegna dopo il 1849. Organizzati nella Società calabrese, fondata a Genova il 18 aprile 1851, da Luigi Miceli e dal poeta Biagio Miraglia, si aiutano fra loro, dimostrano capacità di iniziativa e spirito imprenditoriale, dimenticando di essere figli delle tante Calabrie, divise dalla natura e dalla cultura, e si riconoscono tutti cittadini di una sola patria: la Calabria. I sentimenti liberali e patriottici non sono il prodotto soltanto di interessi materiali e di una spinta culturale. Spesso sono un patrimonio di famiglia, che si trasmette “per li rami”, come la terra e la casa [...] Anche alcuni legami di parentela fra queste famiglie trovano la loro radice in comuni ideali politici. La biografia degli esponenti di esse è scandita dalla partecipazione in veste di protagonisti militari o civili alle grande vicende rivoluzionarie dell’Italia meridionale : repubblica del 1799, decennio francese, rivoluzione del 1820, sconvolgimenti del 1848-49, spedizione dei Mille. Quando una sola esistenza non basta a coprire tutti questi avvenimenti, continuano figli o i nipoti l’azione dei padri, degli zii, dei nonni” (Michele Fatica, La Calabria nell’Età del Risorgimento, in ‘ Storia della Calabria Moderna e Contemporanea – Il Lungo Periodo”, a cura di Augusto Placanica, Gangemi Editore, Roma- Reggio Cal., 1992, pp.210-211). Da quanto sopra riportato si può inferire quanto importante sia stato il profondo cambiamento culturale e politico di alcuni gruppi di intellettuali calabresi nel favorire l’Unità d’Italia.