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Sono rimasto a casa non appena sono state diffuse le prime raccomandazioni di stare dentro per non essere un’eventuale vittima del maledetto coronavirus. Solo uscite brevi, necessarie alla sopravvivenza: fare la spesa. Quindi a casa; letture, tv e rassegna stampa su Google quanto basta. Ho visto e letto i consigli de la Repubblica: tra questi, hanno catturato la mia attenzione le parole di Corrado Augias: “In queste giornate di forzata reclusione ho riletto I Promessi Sposi. A scuola mi aveva annoiato, già a vent’anni l’avevo riletto in modo diverso. Ora ho riscoperto un capolavoro. Non solo letterario. Una fotografia dell’Italia e degli Italiani”. La stessa “confessione” da parte del forbito giornalista e scrittore fatta molti anni fa, nel 2007, al Teatro Gustavo Modena di Genova, al primo appuntamento su Le parole tra noi- Conversazioni sui libri della vita, ciclo di lunedì culturali ideati dalla Fondazione Edoardo Garrone: “… I Promessi Sposi, odiati al Liceo, li ho apprezzati da adulto” (la Repubblica, Archivio). Si potrebbe dire in tempi non sospetti, quando non c’era l’esigenza di stare in casa; anzi si usciva per partecipare agli incontri culturali. Il video mi ha stimolato ricordi e pagine lette.
Soprattutto la noia scolastica di noi alunni degli anni ’60, simile a quella di Augias che era andato a scuola ancora prima. Mi è venuto in mente Domenico Starnone che ha raccontato la scuola con ironia (a volte amara); sono andato a sfogliare Fuori registro, a pag. 48: “Politicamente il collega Zanella, vecchio militante della Cgil, odia Manzoni: un democristiano dell’Ottocento”. Ma, in modo contraddittorio, ne rimane avviluppato: “Zanella comincia a leggere sul sarcastico. Ma dopo poche righe (…) si appassiona suo malgrado e farfuglia come don Abbondio…” A pagina 50 torna a criticare: “Manzoni è gonfiato caro mio. È gonfiato”.
Nessuna contraddizione o dubbio sull’ attualità de I Promessi Sposi per Roberto Scarpinato, oggi Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. Tra le tante risposte del magistrato a Saverio Lodato, Grande Firma del giornalismo italiano in materia di mafia e antimafia: “Potremmo dire che don Abbondio si piega ai voleri di don Rodrigo non solo perché ha timore dei suoi bravi (…) - dell’ala militare - ma anche perché si trova in una condizione di assoggettamento di omertà che deriva dalla consapevolezza del vincolo associativo che lega don Rodrigo ad altri potenti, anche nel mondo ecclesiastico [ora si direbbe: quello colluso o da zona grigia]. Nella medesima condizione si trova l’avvocato Azzeccagarbugli cui Renzo si era rivolto (…) il quale rifiuta l’incarico quando apprende che avrebbe dovuto agire secondo legge contro un potente come don Rodrigo al di sopra della legge. Don Rodrigo è pienamente consapevole che le proprie relazioni personali lo rendono indenne da conseguenze legali per il proprio comportamento criminale” (Saverio Lodato e Roberto Scarpinato. La testimonianza di un magistrato in prima linea. IL RITORNO DEL PRINCIPE. La criminalità dei potenti in Italia Ed. Chiarelettere, p. 97). È un modo diverso di leggere il romanzo manzoniano che ci permette di vedere in continuità, dal ‘600 al Terzo millennio, alcuni lati oscuri, sociali e politici, della nostra Penisola. Nel capitolo V Manzoni descrive la cricca a tavola imbandita, quando frate Cristoforo va da don Rodrigo per cercare di convincerlo a lasciare in pace Lucia: “… don Rodrigo, ch’era lì in capo di tavola, (…) alla sua destra sedeva quel conte Attilio su cugino (…) A sinistra il signor podestà (…) In faccia al podestà il dottor Azzeccagarbugli…”. Nel capitolo undicesimo, dopo il tentativo di rapimento di Lucia da parte dei bravi don Rodrigo intimorisce il console del villaggio (“si guardi bene di non far deposizione dell’avvenuto”) e il conte Attilio, cugino di don Rodrigo, pensa di rivolgersi al conte zio, che ricopre una carica politica importante a Milano, per far allontanare frate Cristoforo (“Doman l’altro sarò a Milano, e in una maniera o in un’altra, il frate sarà servito”). Così avviene nel capitolo 18 e19; il conte Attilio convince il conte zio a incontrare il padre provinciale, riuscendo ad allontanare frate Cristoforo dal convento di Pescarenico (“da Pescarenico a Rimini”). Ritornando al libro-intervista di Saverio Lodato e Roberto Scarpinato, alle pagine 97-98 si legge la differenza sottolineata dal Procuratore generale della Corte d’Appello di Palermo tra le sopraffazioni del passato e quelle di oggi: “In un’Italia, quella del Seicento, dove non esistevano anticorpi sociali e legali contro il sistema di potere mafioso, Manzoni è costretto a far intervenire la Provvidenza perché la storia abbia un lieto fine”. Ma oggi rileggendo, si scopre non solo la Provvidenza. C’è ben altro nel corso della rilettura approfondita di pagine e pagine, 38 capitoli, con un finto manoscritto che fa da introduzione.
Un’altra testimonianza importante, quella di Umberto Eco, semiologo, filosofo e scrittore, intervistato nel 2008 da Michele Fazioli in occasione del premio letterario alla carriera conferitogli dalla città di Lecco: “Molti pensano che I Promessi Sposi sia noioso perché sono obbligati a leggerlo a scuola (…) Mio papà mi aveva regalato il libro prima, e così me lo ero letto con lo stesso piacere con cui leggevo i romanzi d’avventura (…) certe descrizioni (…) si incomincia a gustarle dopo averle lette due o tre volte (…) se avete la fortuna di non volerlo studiare, quando sarete grandi provate a leggerlo per conto vostro. Ne vale la pena”. Manzoni scrittore si comporta come un regista con la sola penna attraverso l’uso dell’ipotiposi: con le parole rappresenta l’immagine in maniera viva. In tal senso la prima pagina del romanzo: “Quel ramo del lago di Como tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi …”. Per Umberto Eco è un pezzo di cinema; inizia con la geografia continua con la topografia e poi ci introduce nella storia: “Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato…”. Anni fa, insieme al settimanale l’Espresso uscì in edicola La storia de I Promessi Sposi raccontata da Umberto Eco. A pag. 59: “Alessandro Manzoni racconta le sue storie come se fossero un film, seguendo più personaggi nello stesso tempo, mostrandocene uno e poi tornando indietro per farci vede cosa faceva intanto l’altro”. In tal modo è strutturato il capitolo XVIII: quando Agnese, la madre di Lucia, viene a sapere da fra Galdino che padre Cristoforo è andato a Rimini, per spiegare il trasferimento, Manzoni torna indietro nel tempo; racconta un fatto avvenuto precedentemente (in analessi), l’incontro tra il conte Attilio e il conte zio (“un po’ meglio informati che fra Galdino, noi possiamo dire come andò veramente la cosa. Attilio, appena arrivato a Milano (…) andò a far visita [al conte zio] …”.
Ho riletto anche i capitoli XXXI e XXXII, naturalmente attuali in questi giorni difficili che stiamo vivendo; fanno parte della lunga digressione sulla peste del 1630 che colpì gravemente il Ducato di Milano; Manzoni si comporta da storico; acquisisce notizie dai documenti, fedele al “vero storico”; consulta il Ripamonti, le opere di Agostino Lampugnano, Alessandro Tadino, Francesco Rivola, Carlo Torre, Pio La Croce, la relazione sulla peste del Borromeo, le varie gride, i vari documenti dell’archivio storico (I Promessi Sposi a cura di Gilda Sbrilli, p. 739 n. 37) per poi riprendere il racconto al cap. XXXIII. A volte sembra un giornalista televisivo: “…un modo di parlare agli occhi…”, ovvero parole e immagini sono un tutt’uno. Questa parte la rimando a data da destinarsi in tempi più tranquilli, quando passerà la “peste” di questi giorni, quando diventerà anch’essa storia. E allora rileggerò entrambe (magari con integrazioni del saggio Storia della colonna infame) per scoprire ancora una volta la ricchezza del capolavoro manzoniano. Siamo tra “quelli che passano l’età matura a rileggere” (Daniel Pennac, Come un romanzo).