© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dai programmi radiofonici o televisivi, ai commenti di esperti ma anche il linguaggio comune, tendono a utilizzare il termine “conflitto” come un contenitore generale, con una gamma di significati che vanno dalla discussione tra due adulti al terrorismo, dall’azione del bambino dell’asilo nido che morde il coetaneo al giovane che uccide i genitori, dalle prepotenze tipiche della fascia d’età della seconda infanzia al bullismo. La carenza conflittuale invece si pone tra violenza e la competenza conflittuale, cioè come capacità di stare nella reazione affrontandola come una situazione che può essere gestita.
È importante realizzare che il conflitto è qualcosa che non si pone in antitesi alla quiete e all’armonia relazionale, quanto come l’elemento imprescindibile perché si dia una vera relazione vitale e umana. La nostra cultura e un reiterato quanto inteso utilizzo scorretto dei termini, che ha fatto si che coesistano un insieme di parole che tendono ad acquisire lo stesso significato negativo: conflitto, guerra, litigio, bullismo, violenza, aggressività, prepotenza. E questo succede perché, la lingua e la cultura, faticano a riconoscere che l’armonia, l’equilibrio relazionale, è uno stato che non si dà a priori, ma è l’esito di un processo complesso, che include l’elemento dialettico del confronto e dello scontro.
Il conflitto è qualcosa che non si pone in antitesi alla quiete e all’armonia relazionale, ma è l’elemento imprescindibile perché ci sia una vera relazione vitale e umana. E’ insomma una risorsa. È una condizione fondamentale per riuscire a sviluppare competenze nell’ambito della gestione conflittuale e per poter imparare a riconoscere la violenza e organizzarsi adeguatamente. La persona carente conflittuale si caratterizza perchè: Non valorizza la parola. Non è in grado e/o non ha imparato a valorizzare la parola, sia per problemi temperamentali di rabbia e impulsività, sia per la propria storia educativa familiare, come nel caso di modelli genitoriali con alta emotività espressa specie di tipo aggressivo. Agisce le emozioni senza filtro simbolico, senza elaborazione, mettendo a nudo la propria fragilità psichica. Quando un’emozione negativa invade la persona, senza che questa riesca a pensarla o a nominarla, può accadere che chi tende a subire o auto infliggersi violenza si senta sopraffatto e agisca nei suoi comportamenti autodistruttivi,
Confonde la persona col problema senza distinguere il contenuto comunicazionale dall’emittente. Segnala una permalosità e suscettibilità eccessive. Che sono tratti temperamentali correlati alla rabbia che richiamano l’area della fragilità, mentre l’agito è un comportamento non consapevole di rifiuto estremo della relazione e dell’altro.