© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
È oggi il tempo del Sud, perché l’Italia ha bisogno che il Mezzogiorno sia motore e non fanalino di coda di una rinascita nazionale. Questo si può e si deve dire dopo le anticipazioni del rapporto Svimez 2018 ad inizio di questo mese, con il conseguente dibattito che ne è nato su questo giornale. Per questo, oggi come non mai, la questione meridionale è una grande questione nazionale: sul fronte economico ma soprattutto perché la nuova frontiera dei rapporti economici dell’Europa con la sponda sud ed est del Mediterraneo passa per lo sviluppo infrastrutturale del Mezzogiorno. Cioè: il vero problema segnalato da Svimez ad inizio agosto. Ma c’è poi il fronte sociale, perché solo risolvendo i vecchi e nuovi problemi del Sud sarà possibile una società in cui ci si sposta solo per scelta e non per obbligo o necessità, così come invece accade oggi. È questo il senso di un rinnovato impegno che deve esserci da parte dello Stato nazionale, come assunzione di responsabilità per chiudere i divari, e anche delle forze economiche, istituzionali e sociali meridionali per superare le tentazioni rivendicative e assistenzialistiche ed essere protagonisti della costruzione del futuro del Mezzogiorno e dunque dell’Italia intera. Da questo punto di vista aspettiamo gli sviluppi dell’incontro nei mesi scorsi a Napoli di tutti i governatori del Sud, in cui più che un partito del Sud è nato un sindacato del Sud. Di tempo ce n’è poco, le elezioni sono alle porte e per costruire un’alternativa al blocco Lega-5 Stelle c’è bisogno di idee, progetti, donne e uomini. Le lezioni che possiamo trarre dal Sud sono infatti più ampie: se avessimo considerato meglio le dinamiche della più grande area meno sviluppata d’Europa – tale è infatti oggi il nostro Mezzogiorno – ci saremmo accorti, ben prima che importanti libri scritti da economisti per fortuna divenuti alla moda lo spiegassero, dei nessi tra equità e sviluppo (Piketty, Atkinson, Stiglitz) e dei limiti un mercato che, al di là dei suoi noti fallimenti, di per sé non produce innovazione e convergenza (Mazzucato).
In definitiva – come nota Peppe Provenzano, vicedirettore Svimez in una bella e lunga intervista a Pandora, rivista che andrà in distribuzione il prossimo mese - avremmo colto le ragioni profonde della crisi, che la Grande recessione ha soltanto disvelato. Avremmo allo stesso tempo posto il tema della frontiera meridionale dell’Europa e dell’inadeguatezza di un impianto economico europeo e dell’Eurozona, privo di degli strumenti per correggere gli squilibri di sviluppo, di benessere e competitività, e che anzi finisce per aggravarli. Oggi, dunque, si apre una “stagione dell’incertezza” in cui il Sud, senza politiche adeguate, rischia una “grande frenata”. I fattori di incertezza sono legati agli eventi internazionali, ai rischi connessi a chiusure protezionistiche ed altri elementi di instabilità, ma anche a un quadro nazionale, segnato dalle possibili ricadute negative, anche dal punto di vista territoriale, di misure come la flat tax. Più autonomia e meno redistribuzione, è questa la prospettiva? In questo caso occorre sapere che se perde il Sud frena l’Italia. Si parla di dipendenza viziosa, ma gli elementi di interdipendenza sono fortissimi, e il Nord non può fare a meno del Sud. L’incomprensione di questo concetto fondamentale è alla base delle scelte europee che hanno portato alle politiche di austerità.