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C’é voluto un grande intellettuale italiano come Goffredo Fofi a ricordare a noi tutti calabresi il valore e il ruolo di Corrado Alavro nella storia politica e culturale del nostro Paese. Fofi parla della riedizione di un libro di Alvaro del lontano 1938, L’uomo è forte (Bompiani), un suo classico ma molto meno letto e frequentato rispetto ai capolavori dello scrittore di San Luca. E’ opportuno che di Alvaro si torni a parlare e a riparlare, come si sta facendo di Pasquino Crupi in queste settimane, perché la nuova ondata di scrittori calabresi al centro dell’attenzione in questo periodo culminata con il Premio Campiello alla bravissima Rosella Postorino, ha bisogno proprio di continui rimandi al passato che pure c’é stato dalle nostre parti, proprio per non cadere nella trappola del provincialismo. Cosa che, per fortuna, non sta avvenendo.
Alvaro – come ricorda Goffredo Fofi – è stato un ‘’grande scrittore calabrese ed europeo’’ e le due cose, così apparentemente distanti, non possono che camminare assieme. Abbiamo infatti bisogno che mai si disperdano le radici, l’humus da cui si proviene ma con uno sguardo alto, altissimo; con pensate e riflessioni che diano conto di quel che accade oggi ma anche di quello che potrebbe accadere. Alvaro ci diede con i suoi scritti più noti dell’Uomo è forte, capolavori assoluti di tutta la letteratura italiana (Quasi una vita per Fofi è uno di questi) e seppe parlare all’Italia e all’Europa in anni tragici, in momento topici della vicenda politica, sociale e culturale del nostro paese e della nostra regione.
L’ambizione dovrebbe essere questa: nessuno ovviamente chiama scrittori e narratori a ossequiare nuovi regimi che, peraltro, manco ci sono. Andrebbe proseguita e ampliata se mai quell’opera iniziata (e non citiamo nessuno perche qualcuno ce lo dimenticheremmo!) che a partire da qui si sta proiettando altrove, fuori, lontano da noi. La cultura italiana nel suo complesso di ieri non era così provinciale e Corrado Alvaro ne fu un esempio fulgido. Oggi ci sono le condizioni, le strutture, le capacità, la voglia di ambire a tornare a svolgere un ruolo di traino per la discussione attorno e per il sud e la Calabria. Non c’era né rimpianto né nostalgia nelle sue parole; nulla di rivendicativo o separatistico o lacrimevole nella sua analisi sul sud e la Calabria, ma in realtà egli era votato alla speranza. Ecco: né ottimismo e né pessimismo ma solo speranza. Anzi, speranze.