Lamezia, lo storico Mario Panarello: "Siti archeologici, palazzi antichi e chiese: un patrimonio da mettere in rete"

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Lamezia Terme - Lametino, classe 1969, l’architetto e storico dell’arte Mario Panarello è attualmente una delle voci più significative del panorama culturale cittadino. Con numerosissime pubblicazioni all’attivo, è membro del direttivo del Centro Studi sulla Civiltà Artistica dell’Italia Meridionale, e dopo aver collaborato con l’Università della Calabria, con l’Accademia di Belle Arti di Bari e con l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, è oggi titolare di cattedra presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce dove insegna Storia dell'arte antica e medievale e Storia dell'arte moderna, ma non dimentica le sue radici e rimane molto presente e attivo nel contesto territoriale.

Lei si occupa da sempre del patrimonio storico-artistico del territorio, noti i suoi studi sulle edicole sacre, in particolare sulla famosa “Madonna del Popolo”. Qual è la storia di quest’immagine sacra? Fu davvero opera del Colelli?

"Sicuramente sono stato sempre attento al patrimonio artistico e più in generale alla storia, sin da piccolo. Ricordo ancora alle primarie le lezioni di don Pietro Bonacci che richiamava la nostra attenzione su alcuni aspetti ed opere del passato. Parimenti è stato determinante il mio rapporto con altre figure, dell'ambiente familiare e non solo, ad esempio il professor Natale Proto. Con gli studi ho poi affinato conoscenze e sensibilità. Mi occupai delle edicole votive nel contesto di un lavoro su Francesco Colelli, pittore nicastrese attivo nel Settecento e nei primi decenni dell'Ottocento, e l'icona di Santa Maria del Popolo, nell'edicola di via Garibaldi, è fra tutte quella più vicina ai modi del pittore, anche se opera della sua bottega. Curai una parziale schedatura delle edicole, proprio nello stesso anno in cui lavoravo ad una monografia su di lui, all'interno di un progetto intitolato "Segni e microsegni" promosso dall'associazione Aleph Arte di cui sono socio fondatore, iniziativa a cui prese parte pure Giuliana de Fazio ed il presidente, Tonino Puija. C'è stata sempre sul territorio una certa attenzione per determinate tematiche, ma è necessario lavorarci ancora per non perdere o banalizzare i segni del passato".

A parte l’enorme patrimonio delle edicole, esistono sul territorio altre ricchezze artistiche o storiche che dovrebbero essere riscoperte o valorizzate?

"La storia da sempre si rende concreta attraverso le testimonianze materiali, e bisognerebbe richiamare l'attenzione sulla molteplicità dei "segni" del passato: dall'impianto urbano della città, più o meno antico, ai grandi palazzi che si presentano attraverso importanti varianti decorative e architettoniche, sino allo storico patrimonio ecclesiastico. Ma hanno un grande valore anche le cose più semplici sopravvissute al tempo: i documenti, le fotografie, i mobili, gli oggetti. Ogni cosa può legarsi alla nostra storia e a quella del gusto. Credo che per una conoscenza della storia moderna e contemporanea bisognerebbe puntare l’attenzione anche su questi aspetti, come fanno gli archeologi con le tracce più piccole, e la scuola può avere di certo un ruolo determinante per la sensibilizzazione. Nel caso specifico delle antichità lametine, sono perdute, ridotte in ruderi o esigue le testimonianze di età medievale o rinascimentale, più evidenti quelle del Sette e Ottocento. Palazzi e chiese di questo periodo sono sicuramente fra le opere che caratterizzano Lamezia e su cui bisognerebbe puntare per una maggiore valorizzazione. Si vedano i palazzi d'Ippolito, Statti e Sacchi e le chiese di San Francesco e San Domenico. In alcuni dei casi citati si tratta di unicum, che pure ancora molti non riescono a riconoscere, non sapendo collocarli nel contesto architettonico decorativo quanto meno dell'Italia Meridionale, o non essendosi mai posti il problema".

Lei si è occupato molto di arte sacra. Ci sono nelle nostre chiese storiche opere, artistiche o architettoniche, che meriterebbero di essere maggiormente conosciute, anche dai profani dell’arte e del culto?

"Il patrimonio artistico delle chiese lametine è prettamente composto da opere di carattere provinciale – ovvero appartenenti all’area dell’Italia Meridionale – e da poche testimonianze importate da altri contesti. Alcune opere sono confluite nel Museo Diocesano, altre sono fruibili negli edifici sacri: penso ai busti argentei dei patroni Pietro e Paolo in Cattedrale, opera di argentieri napoletani di primo Ottocento, o alla bella pala d'altare della chiesa di Sant'Antonio, opera del padre cappuccino pittore Fedele da San Biagio, di origine siciliana ma di formazione romana. Tutto però ci racconta una storia: relazioni e influenze, mediazioni e attardamenti, fenomeni che possono essere letti in relazione alla "macrostoria" e che comunque costituiscono un tessuto artistico che non può essere negato, ma anzi deve essere spiegato adeguatamente. Tutte le testimonianze artistiche esprimono qualcosa, ma a farle parlare dobbiamo essere noi".

Di recente ha vinto una cattedra all’Accademia di Belle Arti di Lecce, la città bianca del Barocco. Crede che anche a Lamezia potrebbero esserci le premesse per una valorizzazione delle peculiarità artistiche del territorio che porti a uno sviluppo in senso lato?

"Certamente prima di parlare di valorizzazione e sviluppo bisognerebbe rendere fruibili i siti e creare dei servizi. Il nostro patrimonio, il cui potenziale risiede anche nella sua varietà, si potrebbe valorizzare al meglio allargando lo sguardo anche al comprensorio, magari creando una rete integrata delle aree archeologiche, dei musei, dei centri storici, ecc., in modo che il visitatore si senta all'interno di un unico circuito in cui possa usufruire di servizi dedicati (trasporti specifici, visite guidate, informazioni)".

Giulia De Sensi

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