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Mauro Calise, docente di Scienza della politica all’Università Federico II di Napoli, ha scritto a pag. 112 del suo libro, "Il partito personale" (Laterza 2000), opinion-polls, termine anglosassone che significa sondaggi. Li conoscevamo già grazie a Silvio Berlusconi che li aveva utilizzati nella sua prima “discesa in campo” nel ‘94, rendendo vana la campagna elettorale della “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto. L’allora cavaliere aveva preso in considerazione il Reform Party del texano Ross Perot. In quegli anni gli istituti di sondaggio erano utilizzati non solo negli Usa, ma anche in Gran Bretagna e in Francia. Al contrario in Italia i partiti tradizionali avevano mostrato scarso interesse. Un anno prima, nel 1993, per le amministrative, a sinistra si erano formati gruppi non professionali di comunicazione che si erano mostrati molto efficaci e i risultati non mancarono. Pure a Lamezia furono coinvolti “quattro amici al bar/che volevano cambiare il mondo”… e cambiò parecchio in meglio per la nostra città, almeno per due sindacature. Iniziò la primavera dei sindaci. Ma I Progressisti non ne vollero sapere. Berlusconi con il suo partito azienda, con i suoi sondaggi, con la sua comunicazione spiazzò tutti. E vinse. Solo Prodi riuscì ad avere la meglio. L’imprenditore rampante di successo diventò imprenditore in politica, prendendo a prestito dal marketing. Addirittura “si fece un uso frequente del sondaggio come fonte di validazione delle opinioni del leader, [per es. nella frase] anch’io come il 65% degli italiani penso che… (op. cit. pag.79).
E cominciò il ventennio berlusconiano. Da quel momento in poi il partito sopravvissuto dalle ceneri di Tangentopoli, prima Pds, poi Ds e quindi Pd, e le nuove formazioni politiche cominciarono ad inseguire i sondaggi che diventarono fondamentali in funzione del gradimento dell’elettorato verso il leader. Dalla comunicazione alla personalizzazione in politica il passo fu breve. Berlusconi appariva dappertutto in videocassetta senza contraddittorio, nei talk show, ospitate continue nei salotti televisivi e sulla stampa. Nacquero i partiti personali o del leader: L’Italia dei valori di Antonio Di Pietro, l’Udc di Pierferdinando Casini, l’Api di Francesco Rutelli… Abbiamo ripreso a leggere il libro di Calise (la nuova edizione aggiornata è andata in libreria nel 2010) perché sondaggi, spettacolarizzazione e personalizzazione fanno parte della quotidianità televisiva e della carta stampata. Matteo Renzi è in ogni luogo, in Italia e in Europa; Silvio Berlusconi, sebbene stagionato e con problemi giudiziari, non ha rivali; Beppe Grillo, prima refrattario alla telecamera, ora si lascia intervistare e manda i suoi onorevoli nelle trasmissioni televisive. Cominciano a sorgere alcuni problemi.
Secondo Il sondaggista Roberto Weber dell’istituto Ixè, Matteo Renzi, nella sua prima uscita in Europa, convince il 60% degli Italiani. Potrebbe fare trascinamento alle future elezioni europee. Eppure non vuole il suo nome sul simbolo del Pd. Proprio lui… sempre a ripetere che ci mette la faccia. Come mai? Berlusconi non può farlo per le questioni giudiziarie. “Senza Berlusconi Forza Italia rischia un crollo”, sostiene Weber. Non lo può fare neanche Grillo. Ma molto probabilmente è quello che ci pensa di meno. Nonostante le espulsioni e gli anatemi, i sondaggi danno l’M5S al 24% anche per le elezioni europee. Il comico andrà in scena ad aprile con il nuovo spettacolo “Te la do io l’Europa”, evocativo di un programma televisivo degli anni ‘80. Che problemi ha? Nessuno. E’ anche euroscettico. E’ convinto di ottenere una buona affermazione, senza allearsi con Marine Le Pen del Front National, la leader decisamente antieuropeista dell’estrema destra francese, ancora più forte dopo la recente affermazione elettorale alle amministrative d’oltralpe. Invece qualche riflessione politica sui partiti della sinistra riformista, italiana ed europea, andrebbe fatta. Secondo un sondaggio de Il Sole 24 Ore il 53% degli Italiani non si sente cittadino europeo e il 55% è convinto che l’Unione europea non vada nella giusta direzione. Partiti e movimenti europeisti dovrebbero darsi una regolata, mettendo in secondo piano mediatico e spettacolo per ripensare gli Stati Uniti d’Europa con progetti politici, economici, finanziari convincenti verso l’elettorato. In tal modo si creerebbero anticorpi consistenti nei confronti dell’astensionismo e dell’euroscetticismo. L’elettorato europeo si trova di fronte ad un bivio: deriva populista o rilancio dell’Europa, protagonista mondiale degli anni che verranno?