La protesta con associazioni e comitati senza partiti e sindacati

Scritto da  Pubblicato in Pino Gullà

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pino_gulla.jpgAbbiamo affrontato nel precedente articolo il populismo, a livello governativo e di opposizione parlamentare. Adesso scriviamo su quello riguardante il malcontento nella società, soprattutto nei quartieri, in periferia, nelle zone disagiate, in alcune città. Si scende pure in piazza per la salvaguardia dei beni comuni o per evitare l’eventuale chiusura di strutture pubbliche utili alla comunità. In tali occasioni stanno assumendo importanza le associazioni e i comitati civici  senza la presenza, il più delle volte, della politica tradizionale e delle organizzazioni sociali. Sindacati e partiti oggi hanno difficoltà a trovare spazio in questo tipo di proteste: i primi sono tutti presi dallo svuotamento delle fabbriche con una classe operaia invecchiata e stanca, rivelando scarsa  penetrazione verso i giovani assunti; i secondi non godono di molta fiducia per le vicende truffaldine di certa politica e l’autoreferenzialità di alcuni politicanti.

Al loro posto, in parecchi momenti di lotta o in certe manifestazioni, sono subentrati i comitati, maggiormente diffusi nei centri piccoli e medi; per la buona riuscita della protesta si preoccupano in particolare della copertura mediale delle tv pubbliche e private, in modo da avere l’attenzione dei media e, negli ultimi  tempi, del web. Lo scopo è ben riposto: andare oltre i manifestanti  per arrivare ad un’opinione  più allargata, soprattutto al pubblico televisivo e ai social network. Forse in queste occasioni si può notare in maniera più marcata la perdita di consenso dei partiti e delle forze sindacali. Alla fine delle manifestazioni, gli organizzatori o, in qualche caso, alcuni amministratori, ben visti dai comitati, sono in prima fila per essere intervistati. Comunicazione e visibilità diventano prioritari perché potrebbero essere, per taluni, trampolini di lancio verso future candidature. Naturalmente il rischio della strumentalizzazione della protesta è in agguato. Se avviene ciò, il tutto funziona in chiave di propaganda. Talora con l’aiuto di un regista, basta riprendere nel giusto modo chi sale sul palco insieme ad altre immagini della sfilata e il gioco  è bell’e fatto. Si potranno poi organizzare nei giorni seguenti dibattiti televisivi sul tema che ha generato la protesta; si cattura l’attenzione di chi non era alla manifestazione e poi racconti, descrizioni, interpretazioni dell’evento e ogni forma di flusso comunicativo sul web. Rimandiamo a tutto quello che abbiamo scritto a proposito di twitter. Oggi  la piattaforma moltiplica i flussi della informazione e si auto-alimenta in continuazione. Per alcuni politici e leader di gruppi o associazioni si è creato tale tipo di intreccio tra tv e web tentando di catturare così l’ attenzione della cittadinanza.

Nel momento in cui si rischia di cadere nel populismo e avviene la strumentalizzazione, gli scopi per cui era nata la manifestazione potrebbero passare in secondo piano e si privilegia la presenza di quel politico che  guadagnerebbe in tale occasione  la buona considerazione dell’opinione pubblica; l’esponente politico in questione è visto  sempre davanti alle telecamere o sul web e appare come colui che prende a cuore i bisogni della comunità. Nei luoghi del malcontento compaiono i leader che instaurano un  rapporto immediato con i partecipanti alla protesta e con i giornalisti televisivi e  del web. Apparentemente i partiti non vengono presi in considerazione. Nascono in questi casi i leader d’opinione senza partito che si presentano nelle tornate elettorali in liste civiche, sostanzialmente nuovi i partiti, fautori della democrazia partecipativa;  magari vincono le elezioni favoriti dalla normativa sugli apparentamenti, ma, se non ben attrezzati ad amministrare la cosa pubblica, avranno vita amministrativa breve. Per durare più a lungo avranno bisogno dell’appoggio di strutture organizzate, anche di associazioni e partiti armati di buoni propositi, in modo da gestire al meglio le inevitabili dinamiche e le eventuali fibrillazioni nel corso della attività di governo che va in difficoltà quando diventano forti le pressioni di gruppi d’interesse alquanto discutibili.

Senza formazione ed esperienza politica è più facile sbagliare per quei neofiti autonomi dai soggetti politici organizzati. Nel contempo possono correre il rischio di rimanere vittime, loro malgrado, della mala-politica. Può capitare che tanti insoddisfatti si metteranno di traverso o frapporranno ostacoli alla nuova amministrazione locale; ciò succede pure a livello regionale o nazionale  soprattutto con  certi gruppi vicini ai comitati d’affari. Così non si otterranno risultati per la comunità. Dopo la prima fase di euforia post-elettorale, diminuiranno le percentuali nei sondaggi. Ritorneranno la sfiducia e il malcontento. Per evitare situazioni del genere, le forze politiche tradizionali e quelli di nuova formazione devono riguadagnare il terreno perduto nella società. Ma occorre rinnovare la forma partito, valorizzando chi è portatore di idealità, pronto a governare in maniera responsabile e legittimato dalla cittadinanza. Se avvenisse un tale cambiamento nel nostro Paese sarebbe protagonista la buona politica.

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