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I giovani purtroppo non si pongono questa domanda: “perché è richiesta la presenza soprattutto degli studenti per le fiaccolate antimafia, per le giornate ecologiche e per molte altre manifestazioni di circostanza?”. Nella maggior parte dei casi la loro partecipazione è una strumentalizzazione, così come l’assenza dei giovani disoccupati, nei riti istituzionali, è invece sintomatica di una dignità offesa. Di fatto i giovani non sono mai invitati a vivere il lavoro, ma sono costretti a subire la cultura dello scarto, ad eccezione, per esempio, di quei pochi fortunati baciati dalla fortuna sbendata di un concorso pubblico pilotato. Anche per queste ragioni, Papa Francesco, nel suo discorso ai lavoratori e disoccupati della Sardegna ha invitato a lottare per il lavoro contro l’attuale sistema economico e politico senza etica, quasi fosse un Che Guevara contemporaneo, per giunta senza gli ori dei paramenti ma facendosi soltanto portavoce di un Gesù fortunato falegname. L’attuale disoccupazione tocca i pericolosi livelli del 1977 che hanno spinto Tina Anselmi a far approvare la legge 285/’78 contro la disoccupazione giovanile, per superare la grave crisi sociale di quel momento: così molti giovani sono stati rastrellati e tolti dalle pericolose piazze. Ma oggi la situazione non è la stessa: i giovani sono distanti da qualsiasi forma di lotta, per cui non hanno alcuna incisività sul Governo per delle scelte (obbligate) sul campo occupazionale. Anzi, la colpa viene attribuita loro perché appaiono “sfigati” – il ministro Fornero li definiva choosy – forse per colpa di quei grandi occhiali neri arrotondati in acetato che indossano quasi tutti. A Lamezia la situazione è ancora più grave: per i giovani la città concede spazi musicali, dove vivere le illusioni a basso prezzo delle distrazioni facili e per una felicità virtuale delle occasioni di “smercio”; ma non si è fatto alcuno sforzo per creare spazi reali di lavoro, ad eccezione delle poche poltrone per le “vittime” privilegiate della raccomandazione. Anzi nel campo delle professioni liberali la libertà di esercitare viene persino negata.
I giovani architetti, ingegneri, geometri, periti, si trovano di fatto costretti a pesanti umiliazioni, di fronte a un sistema impenetrabile, consolidato da comportamenti istituzionali che hanno direttamente o indirettamente favorito forme varie di clientelismo e favoritismo, rendendo impossibile l’ingresso dei giovani professionisti nel mondo del lavoro. In realtà in Calabria e a Lamezia non c’è il cerchio magico, ma il quadrato magico, una figura geometrica composta da quattro lati: la ’ndrangheta, gli imprenditori, i funzionari, i politici; fino a trasformarsi persino in un volume, il cubo. Le altre due facce, che compongono il solido geometrico, sarebbero i professionisti che hanno le mani sulla città e i professionisti dell’antimafia. Il clima attuale è facilmente ricostruibile anche dagli orbi, basta avere un po’ di naso, se i nomi degli aggiudicatari degli appalti regionali milionari sono sempre gli stessi e se i liberi professionisti fanno parte della stessa lucrosa agenda di lavoro. In realtà tutto viene diviso, in una sorta di belligeranza interessata, tra racket e antiracket. Ma nonostante questo c’è la sensazione che la mancanza di pulizia in questa città abbia creato le premesse perché nella rete della giustizia ci vada a finire il solito ladro di polli, che, dopo essere stato costretto alla fame verrà sicuramente riconosciuto colpevole di tutto il male della città per non essere riuscito a sputare in tempo l'osso. Di fatto, il dato che emerge dal “Rapporto Svimez 2013 sull’economia del Mezzogiorno” non lascia dubbi. Lo studio, oltre a mettere in risalto la cronica mancanza di un programma di interventi pubblici rispondente alle reali necessità della Calabria, ripete molte cose già note: divario crescente con il nord produttivo in termini di investimenti, di reddito, di consumo di occupazione. Nel Rapporto 2013, alla voce “criminalità organizzata e crisi”, si legge testualmente: “Le grandi organizzazioni criminali continuano a mantenere intatta la loro vitalità grazie fondamentalmente al controllo esercitato sul territorio, alla capacità di intrecciare rapporti collusivi con settori dell’economia legale e istituzionale e alla capacità di mescolarsi con la società civile e con il mondo imprenditoriale. Tre i modi con cui realizzano profitti: l’usura, alimentata dalla richiesta di liquidità degli imprenditori e dalla necessità di riciclare denaro sporco, presente soprattutto nel Mezzogiorno; la concorrenza sleale contro le imprese non legate alle cosche; la collaborazione con le imprese fuori dal circuito mafioso che scelgono espressamente di entrarvi per realizzare maggiori profitti. In questo senso, stanno dilagando sempre più, non solo al Sud ma anzi soprattutto al Nord, forme di capitalismo criminale, conseguenza del fatto che i confini tra sfera legale e illegale appaiono sempre più labili, anche grazie all’appoggio di un’ampia schiera di professionisti e amministratori pubblici e privati collusi. In questo modo accade che da un lato imprenditori collusi si infiltrino in associazioni antiracket per recuperare un’immagine nuova, e dall’altro ci si orienti sempre di più verso settori emergenti e innovativi, quali ad esempio le energie alternative”. È un quadro chiaro che non ha bisogno di ulteriori commenti. Ai giovani rimane l'obbligo di non farsi rubare la dignità.