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In questi giorni la stampa, sulla scorta di atti relativi alle inchieste giudiziarie in corso, insiste su un argomento scottante: l'inquinamento del voto da parte delle famiglie locali legate alla 'ndrangheta. La verità, dunque, corre attualmente lungo il filo sottile del pentitismo mafioso. Il dato di fatto che emerge è che l'intera vita di questa città è condizionata dalla mafia (l'ex Procuratore della Repubblica Salvatore Vitello ha parlato di una popolazione con un coefficiente di mafiosità superiore al cinque per cento del pizzo: il venti per cento dei cittadini sarebbe contiguo alle 'ndrine). La mafia ha condizionato fortemente l'economia, il vivere comunitario in tutte le sue sfaccettature: anche nel campo delle libere professioni sono stati molti gli esclusi a vantaggio di pochi. Non è difficile capire perché il destino di un'intera comunità e soprattutto dei singoli sia stato determinato dal pensiero mafioso non solo al momento del voto. A tal punto che soltanto chi è stato dentro quel sistema, accettandolo in misure variabili, ha potuto realizzare un'iniziativa produttiva, un'attività commerciale, un'impresa; chi è rimasto fuori è stato schiacciato da un sistema di comportamenti sempre più prossimi ai modelli del sistema mafioso. Cittadini, questi ultimi, rimasti schiacciati o isolati per scelta.
Ma in una città con un dosaggio di mafiosità forte è certo che tutti soffrano degli effetti della contaminazione: in termini di tentazione a delinquere o nella strenua resistenza per la scelta, comunque difficile quanto coraggiosa, di vivere da esclusi. Infatti, Lamezia, che conserva invisibili caratteri di normalità, è sostanzialmente una città esclusiva che genera – a causa dell'inefficacia degli interventi istituzionali – soltanto confusione. A tal punto che in un'intervista lo stesso ex Procuratore della Repubblica Salvatore Vitello ha dichiarato alla stampa che in questa realtà i funzionari pubblici agiscono “secondo la logica del favoritismo”. Sulla stessa scia molti interventi in Consiglio comunale hanno messo in risalto, per esempio, che le norme del Piano strutturale comunale devono “comprimere l’alta discrezionalità nella gestione edilizia detenuta dagli uffici comunali” , come se si trattasse di dipendenti pubblici abituali criminali, avvezzi ad approfittare del proprio posto di lavoro per favorire alcuni e danneggiando, evidentemente, altri. Di fatto – da quanto riporta la stampa in questi ultimi giorni – sembra che politici “avrebbero anche accompagnato alcuni esponenti del mondo criminale nei vari uffici comunali per sostenerli nelle loro attività”. La conclusione scontata è che l'attuale cappa su Lamezia non è determinata dal lago artificiale dell'Angitola – come chiosa il pensiero falsamente ambientalista – ma da quell'intreccio complesso e molto articolato di comportamenti che hanno fatto di Lamezia una città sostanzialmente mafiosa; per cui forse soltanto quando affiorerà il pentitismo politico sarà possibile scrivere la storia vera della città. Ma le tradizionali inerzie degli esponenti politici non fanno ben sperare. In ogni caso, lo stato di generale sospetto non fa bene alla città: sarebbe necessario fare subito chiarezza, una volta per tutte, per una Lamezia normale.