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Se Lamezia avesse il naso potrebbe porsi delle domande e rispondersi subito. Esiste, infatti, una mappa olfattiva che consente un orientamento anche ad occhi chiusi. L’olfatto è il senso che orienta tutti anche nella memoria: è l’intelligenza e la conoscenza, la sensibilità per eccellenza, ed è anche l’occhio posteriore sul mondo e sulla storia individuale e collettiva. L’olfatto è il lapis invisibile attraverso cui tutti possono disegnare il territorio come è, e come potrebbe o dovrebbe essere. La dimensione spazio-temporale svanisce con il passare degli anni: i profumi e gli odori no. Si dimenticano le date, i percorsi o i nomi di persone e luoghi, ma il profumo di un'esperienza o del mare che incontra la sabbia resta indelebile, come la puzza. La Lamezia contemporanea puzza – per esempio – di bruciato. Pneumatici che, dal Turrina al Piazza, aiutano per “autocombustione” a riconoscere col fumo nero questo territorio amato dai rom, anche da Tripoli, come il più antico sistema di segnalazione dalle torri costiere per i turchi, libici o egiziani in arrivo dal mare, a cavallo di onde dei nemici di sempre: colibatteri e reflui industriali, frutto della sburocratizzazione, del “laisser faire” – ovvero, lasciare fottere (in tutti i sensi) il territorio – per garantire una “cosa” che ancora oggi si ha il coraggio di chiamare “sviluppo” ma che certamente non è progresso.
Le scelte urbanistiche sbagliate possono essere valutate anche con il naso: non per niente si dice in generale “avere naso”, quando si ha la capacità di capire con immediatezza. Per disegnare la mappa olfattiva del territorio di Lamezia, si parte da sud. Il torrente Turrina introduce, soprattutto nei mesi estivi, a strane storie calabresi di depurazione con un'eco che arriva dal Mesima. Un odore che fa chiudere le narici e, per un naturale riflesso, fa spingere l’acceleratore, per uscire il più velocemente possibile dal tunnel virtuale che si imbocca dalla strada provinciale 522 alla strada statale 18. La linea di costa sembra la linea Maginot dell’olfatto: una cintura nera di un territorio racchiuso tra acque contrassegnate spesso da divieti di balneazione.
Un tempo, le reclute del Centro di addestramento puntavano, in località Marina di Maida, le bocche da fuoco dei carri armati verso il mare – da dove non arrivavano ormai da tempo i turchi – con la scusa di sagome semoventi disposte nell’interruzione, progettata, della fascia frangivento, proprio per consentire le esercitazioni militari. Ancora oggi, l’odore di gasolio degli automezzi dell’esercito confuso con l’inconfondibile odore della naftalina delle divise rimanda a quella porzione di territorio, che consentiva comunque la balneazione. E nelle primavere dell’entroterra l’odore delle foglie degli eucalipti della bonifica integrale si mescolava con l’inconfondibile profumo dei fiori d’arancio, di foglie di pioppo e di resina dei cipressi che, in fila, davano geometria al territorio: un paesaggio che “a naso” era da conservare e che invece è stato inghiottito dall'infingardaggine, l'unica a germogliare vigorosamente da queste parti, con continuità. Certo gli autorevoli rappresentanti direbbero – sapendo di mentire – che con il paesaggio non si mangia. Ma Lamezia perché non si interroga, per esempio, sulle ragioni della localizzazione del Polo fieristico a Catanzaro Lido e non piuttosto dove si svolge la Fieragricola, che si trascina a Sambiase da mezzo secolo come una messinscena paesana, in prossimità dei giochi carnascialeschi? “A naso” si può rispondere che è tutto merito della ormai tradizionale autorevolezza di Lamezia.